giovedì 25 febbraio 2016

I caduti biellesi della battaglia del Monte Nero



Tolmino e il Monte Nero

In quella che è oggi nota come la Seconda battaglia dell’Isonzo morirono moltissimi militari italiani (sono stimati circa 42.000 tra morti, feriti e dispersi), e furono fatti prigionieri circa 4000 soldati austriaci lungo tutto il fronte della battaglia nell’arco dei primi tre giorni di combattimento.
Le ingenti perdite subite dai reparti italiani in questo duro scontro obbligarono entrambi gli eserciti a sospendere momentaneamente le ostilità per reintegrare i reparti con nuovi arrivi di soldati. Per l’Italia, infatti, questa battaglia fu il momento di massimo sforzo bellico dall’inizio del conflitto, in cui ogni soldato disponibile fu chiamato a combattere. Come abbiamo visto due settimane fa, nel nostro ultimo appuntamento, questo portò ad una nuova e ingente chiamata alle armi e al reclutamento anche di coloro che erano stati precedentemente riformati.
Soldati ai piedi del Monte Nero

Poiché molti dei biellesi al fronte erano di stanza negli Alpini, è soprattutto tra di essi che ritroviamo le molte vittime della sanguinosa Battaglia del Monte Nero. Riportiamo qui di seguito i nomi dei caduti biellesi parte del 4° Reggimento Alpini che combatté sulle montagne alla fine di luglio 1915:
Francesco Salussoglia, Arturo Lorenzetti, Amilcare Girardengo, Tracciolini Anselmo di Biella, classi 1891, 1894, 1890 e 1895; Angelo Mercandino di Pralungo, classe 1882; Guerrino Ramella e Luigi Perona di Chiavazza, classe 1882 e 1881; Vitale Cinquino di Tollegno; Felice Ramella-Paja, Alessandro Ramella e Giacomo Ramella-Rat del Favaro, rispettivamente classe 1884, 1890 e 1891; Pasquale Acquadro e Federico Ramella Salvei di S. Eurosia, classi 1883 e 1879; Eusebio Cravario di Muzzano, classe 1881; Antonio Foscale di Cossila S. Grato; Patrizio Caneparo di Occhieppo Superiore, classe 1893; Gioachino Frassati ed Enrico Cerruti di Occhieppo Inferiore, classi 1891 e 1894; Euclide Borrino di Vallemosso, figlio dell’industriale Antonio Borrino, sottotenente; Lorenzo Canova di Pralungo, classe 1882; Carlo Baronio di Mongrando; Pierino Ceretti di Crevacuore, classe 1893; Riccardo Cigna di Pollone, classe 1881; Giuseppe Maffei di Camburzano, classe 1881; Chiaffredo Bertolino di Valdengo, classe 1891; Giacomo Chioso di Ceresito; Pietro Morino di Sala Biellese, classe 1882; Fiorentino Debernardi, Giovanni Gambro e Umberto Gavietto di Zubiena, classi 1883, 1893 e 1892; Giovanni Zanotti da Borriana; Cipriano Perrazione e Flavio Rama di Graglia, classe 1895 e 1888; Aniceto Barbera di Pavignano, classe 1889; Alessio Piatta del Vandorno, classe 1893; Pietro Caneparo del Barazzetto, classe 1891 e Felice Azario classe 1891, di cui non si poté risalire alla residenza.
Il trasporto a valle dei caduti

Il bollettino Cadorna proveniente dal fronte parlava esclusivamente del successo della battaglia e dell’avanzata delle truppe italiane in territorio austriaco: “Sull’altipiano carsico il nemico fu scacciato da alcune trincee. L’azione si protrasse aspra e ostinata anche durante la notte”. Nonostante le perdite e le resistenze austriache “le nostre truppe perseverano instancabili nella lotta.” 

Da il Biellese del 27 ottobre 2015

martedì 16 febbraio 2016

I giornali festeggiano l'anno nuovo

Con l'arrivo del 1916, per i giornali che fin qui abbiamo seguito, La Sesia La Risaia, arriva il momento di tirare un bilancio sull'anno appena passato e di fare l'elenco dei buoni propositi per l'anno successivo.
Il primo giornale a stilare il proprio bilancio è La Risaia, che il 31 dicembre del 1915 festeggia con i suoi lettori il suo sedicesimo anno di attività. Nell'articolo però, il riferimento alla guerra è limitato a un riferimento alla censura, che limita la possibilità al giornale di poter fare propaganda: «Se non ci fosse la censura – spiega il giornale – potremmo scrivere di più: ma noi vogliamo risparmiare fatiche ed al sottoprefetto: e d'altronde i nostri compagni comprendono a meraviglia senza troppe parole a quale compito noi li chiamiamo ancora oggi, dopo tanti anni di lotte» (La Risaia, 31 dicembre ’15). Per il resto, l’editoriale non si occupa quasi mai della guerra, ma chiede ai “compagni” l’impegno costante di tutti nella propaganda tra il popolo per lottare ancora contro «L’incoltura, l’egoismo, la disunione, la propaganda brigantesca dei borghesi, dei preti, della stampa asservita al capitalismo». La propaganda, quindi, è  il compito che «il nostro giornale ha cercato di assolvere: in questo compito persevererà per l’avvenire sorretto dalla fiducia del proletariato del vercellese.
Diverso decisamente il tono della Sesia, che nel numero del 2 gennaio festeggia, invece, i 46 anni di attività «sicura dell’affetto e dell’appoggio dei vercellesi, i quali apprezzano e secondano i suoi sforzi modesti ma volenterosi per rendersi utile al proprio paese – e se c’è un anno in cui il giornale sente di – essere veramente la interprete fedele del pensiero vercellese, è questo memorando, storico anno, finito ieri in un bagliore di fiamma; fiamma di distruzione e di morte, e ad un tempo fiamma d’amore e di vita, perché agli orrori della guerra si intrecciano le belle prove di amor patrio, di valore e di abnegazione della nostra gioventù» (La Sesia, 2 gennaio ’16). Così, La Sesia  per l’anno nuovo si augura solamente una cosa: «che il seme generoso lanciato l’anno scorso nel fertile terreno del più puro patriottismo, dia quest’anno i frutti attesi della vittoria, della gloria, della pace onorata e feconda di felicità per l’Italia nostra». Ma perché ciò avvenga, non è necessario solamente che i soldati facciano la loro parte, ma che tutta la popolazione faccia del suo. «Chi ha dato,ridia e non si stanchi di dare; chi non ha dato od ha dato troppo poco, dia ora o dia ancora: è l’obolo della vittoria quello che vi si chiede, Vercellesi, che siate italiani per eccellenza. Bisogna, facendo un esame di coscienza, essere ben sicuri di aver fatto tutto il proprio dovere, od aver l’animo pronto a farlo ora».


BONUS

Sempre sul giornale del 31 dicembre La Risaia pubblica una notizia da Olcenengo sul ritorno di alcuni soldati dal fronte in licenza. I soldati vercellesi vengono accolti dalla popolazione con emozione e tripudio generali … o quasi. «Intendiamo parlare – spiega il giornale – d’un biondi netto che con una stonatura volle attirarsi ciò che si meritava. “A che tanta commozione – egli disse ghignando – non vedete come sono grassi?» (La Risaia, 31 dicembre ’15) attirandosi le ire del giornale, che lo invita a provare di persona la vita del soldato. A rispondere a questo articolo, sulle pagine della Sesia, è lo stesso “Biondetto”, di nome Giovanni Martignone professione Sellaio, che ammette di aver fatto quella battuta, ma in modo bonario assicurando a tutti che egli aveva fatto del suo meglio per assicurare “buonissime accoglienze” e “buona compagnia”. 

mercoledì 10 febbraio 2016

Le lettere dei soldati tra censura e propaganda



Le lettere dei soldati biellesi che giungevano alle redazioni dei giornali erano un ottimo strumento di propaganda e di controllo del morale della popolazione. Queste lettere erano debitamente censurate dall’esercito per evitare sia la comunicazione di notizie strategicamente rilevanti, sia il disfattismo o le descrizioni ingloriose dei campi di battaglia e delle condizioni di vita che avrebbero minato la fiducia degli italiani nella bontà della guerra o nella possibilità di una vittoria.
Da alcuni stralci di queste lettere, però, si può capire quali fossero i sentimenti dei soldati al fronte, quali le loro speranze e il loro affetto per i cari lontani.
Arturo Giacomelli, sottotenente nel 56° fanteria, scrisse alla madre durante la sua convalescenza all’ospedale militare a causa di una ferita riportata al braccio destro. “La ferita va migliorando, ma però il maggiore medico mi ha detto che dovrò stare all’Ospedale da 3 a 4 mesi. Non puoi credere il dispiacere che provo ad essere lontano dal fronte ma pazienza, spero però di ritornarvi avendo da vendicare la ferita mia e quelle di molti miei compagni e amici.”
Carlo Giacomelli, soldato nel 54° fanteria, scrisse anch’egli alla madre: “Scrivo sul coperchio della gavetta in questo fienile che ancora per poche ore è il nostro alloggio. […] Già la sveglia ce la dette ieri il cannone. […] Messici d’accordo con altri soldati, e pensando che in guerra le probabilità di morire sono tante, abbiamo voluto prima di partire prendere la Comunione da veri cristiani. Era commovente il vedere tutti quei militari, che magari pochi minuti prima avevano la bestemmia sulle labbra, vederli inginocchiati, implorando Iddio di rimandarli a casa in mezzo all’affetto dei suoi. […] Triste è assai la guerra, ma la sapremo affrontare con serenità. Tornerò? Questa è la domanda che ogni momento mi faccio. Farò il mio dovere da vero soldato, ma se ciò non fosse da tornare, perdonami delle mie mancanze, però ricordati di me che mai il mio pensiero venne meno per te.”


Preparativi per l’inverno del Comitato Circondariale
Il Comitato Circondariale iniziò per tempo a preoccuparsi dei problemi che il freddo invernale avrebbe potuto provocare ai soldati. Si rivolse quindi alle aziende tessili perché volessero gratuitamente donare al Comitato “quei filati di lana che fossero giacenti nei loro magazzini e di cui non avessero bisogno o possibilità di utile impiego”. Lo scopo di questa raccolta era quello di produrre calzettoni, sciarpe e cappucci di lana per i soldati grazie al lavoro delle donne biellesi, cui si sarebbe fornita la lana necessaria.
La morte del Conte Vittorio Nomis di Pollone
Il conte, che aveva il grado di tenente colonnello, cadde in battaglia colpito da un proiettile, dopo che, come scriveva in una lettera alla moglie, la contessa Margherita Avogadro di Quaregna, figlia del noto generale, nella mattina aveva “condotto felicemente all’attacco i miei bravi soldati: una palla mi ha sfiorato i capelli bruciandomene qualcuno ed un’altra mi ha perforato il pastrano. Sono salvo per miracolo. Ma dò volentieri la mia vita alla patria, nella speranza che Dio salvi i miei figli.”

Da il Biellese del 29 settembre 2015

mercoledì 3 febbraio 2016

Lamentele dei soldati dal fronte... Dove sono i nostri indumenti??

Baraccamenti invernali
(fonte www.14-18.it)
Dall'inizio della guerra molte lettere erano giunte alla redazione della Sesia dal fronte della guerra, che raccontavano la vita e le imprese dei soldati vercellesi negli scenari di guerra oltre a ringraziare i comitati e le Unioni femminili «Pro Soldati» per tutti gli invii di indumenti invernali e gli aiuti che vengono portati al fronte: «Sono lettere piene di entusiasmo – racconta il giornale vercellese – e di sentimenti della più affettuosa, devota riconoscenza: parole di bontà, espressioni di gioia, slanci di gratitudine, provocati negli animi generosi dei nostri bravi soldati dalla prova di gentile, fraterna, affettuosa solidarietà dei propri concittadini, della loro diletta Vercelli» (La Sesia, 14 dicembre ’15).

Ma da qualche tempo, informa il giornale, il tono delle lettere ha iniziato a cambiare. Non ci sono solamente missive di ringraziamento ma anche quelle di soldati «che si lagnano di essere stati dimenticati, di non aver ricevuto nessun indumento per la fredda stagione, mentre ne ricevettero i loro compagni di altre regioni». Una di queste, proveniente dai “Soldati Vercellesi sconosciuti della ** batteria d’assedio” viene riportata per intero dal giornale. «Dalle più alte ed aspre nevose vette del Trentino – dice la lettera – un gruppo di artiglieri Vercellesi puro sangue, che combattono col medesimo entusiasmo dei loro compagni, più fortunati, difesi dal freddo con gli indumenti di lana loro inviati dal Comitato Vercellesi – e assicurano che essi – dimenticati cittadini Vercellesi, sapranno fare il loro dovere di soldati d’Italia, anche senza tanti incitamenti dai loro concittadini».
Natale al fronte (fonte www.14-18.it)



Fronte alpino (fonte www.14-18.it)
Quali erano stati i motivi di quella dimenticanza? Il comitato di preparazione civile, spiega il giornale, aveva già un vasto programma di aiuti che non si concentrava solamente sulla consegna di indumenti e per questo che in quel campo i provvedimenti erano stati pochi. Anche gli aiuti provenienti dall'Unione Femminile, che era nata con il solo scopo di raccogliere lana e indumenti per i soldati da inviare per l’inverno, non erano arrivati a sufficienza per un buon motivo. Il lavoro del comitato, infatti, era stato encomiabile tanto «da tenere uno dei primi posti, se non addirittura il primo, fra i Comitati della provincia di Novara». Ma questi indumenti, secondo il principio costituente del comitato, erano stati inviati principalmente a quei soldati che avevano fatto parte del presidio di Vercelli. «Essa – spiega il giornale – era mossa da un sentimento generoso di solidarietà non solamente verso i suoi concittadini, ma anche verso i suoi ospiti. E se in tutti i centri d’Italia si fosse fatto così, tutti i soldati al fronte avrebbero avuto il loro pacco di indumenti». Ma siccome questo non era accaduto, molti soldati vercellesi erano rimasti senza indumenti. Le spedizioni, sottolinea il giornale, stanno continuando e aumentando di peso «Sono più di 9000 indumenti- sottolinea La Sesia – che vennero spediti, e spedizioni supplementari si stanno ancora facendo», ma questo non basta, spiega ancora il giornale liberale che fa appello ai due comitati e alla cittadinanza, in modo che siano aumentati gli aiuti. «Questo rinnovato slancio, di solidarietà sarà il più fervido augurio per le feste natalizie ai soldati che dovranno passarle in trincea, ed in quel giorno sacro alle più liete e dolci espansioni, essi, pensando alla loro cara città con nostalgico desiderio, associeranno all'evviva all’Italia il suggestivo e caldo evviva che viene dal più profondo dell’anima loro: evviva Vercelli».