sabato 3 dicembre 2016

La guerra ai tempi della Strafexpedition

A metà maggio notizie provenienti dal fronte iniziano a turbare inevitabilmente la vita delle comunità italiane. Una grande offensiva austriaca, infatti, coinvolge l’altopiano dell’Asiago, l’alto vicentino e il Trentino meridionale sfondando le linee italiane e facendole arretrare. Scopo degli austriaci, oltre a punire l’ex alleato per la sua defezione a inizio guerra, era quello di provare a tagliare in due il territorio italiano puntando su Venezia isolando così le truppe impegnate lungo il fronte dell’Isonzo. L’offensiva austriaca partì nei giorni tra il 14 e 15 marzo, per proseguire per nel mese successivo fino alla fine di giugno.


La mappa dell'offensiva
L’inizio dell’attacco sorprende gli italiani, che non riescono a coordinarsi sin dal primo momento per una controffensiva efficace, anche perché il comando militare italiano aveva sottovalutato il pericolo e lo stesso attacco. Come reagiscono, invece, i giornali? Sulla Sesia, la prima notizia dell’offensiva finisce in fondo alla prima pagina, con il semplice titolo Violenti attacchi in Valle Lagarina, tra Valle Terragnolo e l’Alto Astico, nel settore di Asiago e in Val Sugana (La Sesia 19 maggio ’16). Che l’offensiva preoccupi, e non poco, viene dimostrato da un articolo che appare sulla Sesia pochi giorni dopo dal titolo L’offensiva austriaca nel Trentino. Una nota ufficiosa in cui il giornale sembra giustificare le difficoltà incontrate dagli italiani a respingere gli attacchi austriaci. Parlando delle prime ritirate sulle linee difensive, il giornale afferma che: «talune posizioni da noi occupate durante lo svolgimento della nostra avanzata in territorio nemico avevano carattere transitorio, e cioè punti di appoggio per ulteriori sbalzi in avanti, ma non avevano nè potevano avere carattere staile in caso di forti spinte del nemico» (La Sesia, 23 maggio ’16). Inoltre, ricorda il giornale: «Nelle regioni montuose poi le linee di difesa non possono, come in pianura, susseguirsi a brevissima distanza; esse sono in qualche modo tracciate dalla natura prima che dall’uomo (…) È questa appunto una delle maggiori difficoltà della difensiva nella guerra di montagna. Né si deve dimenticare che chi attacca ha il vantaggio di scegliere il punto su cui puntare e di poter preparare in tempo il maggior sforzo in quella direzione». 

Ciò che resta degli altipiani dopo i combattimenti
L’articolo chiude con alcune note positive: la ritirata degli italiani era stata semplicemente un ripiegamento sulle linee difensive preposte per evitare perdite inutili (operazione avvenuta: «ordinatamente, non senza aver prima in avere inflitto al nemico grandissime perdite»); ogni attacco nemico, dopo una iniziale avanzata, si era stato fermato dagli italiani al costo di “gravissime perdite” (anche se al termine dell’offensiva le perdite italiane saranno molte di più di quelle austriache); «La storia di tutte le offensive della presente guerra europea sta a dimostrare che ai primi facili sbalzi succedono inevitabilmente lunghi e logoranti arresti, quando l’attaccante urta contro posizioni ben munite, si allontana dalle proprie artiglierie pesanti e si trova di fronte le riserve della difesa opportunamente disposta (…) In complesso noi possiamo considerare con piena fiducia lo svolgimento delle odierne operazioni, con le quali il nemico cerca di sottrarsi alla posizione di stratta difensiva impostagli durante ormai un anno, o di turbare il piano di azione degli Alleati». In questo modo, La Sesia prova a tranquillizzare i cittadini sugli esiti di una offensiva che preoccupa in molti.

martedì 4 ottobre 2016

Appelli per l'Assistenza materna

Uno dei problemi principali che le città e i paesi devono affrontare quando uno Stato è in guerra e come sopravvivere nella vita di tutti i giorni senza l’aiuto di figli, mariti e padri nella vita di tutti giorni. Problemi che abbiamo visto già in altri post, che riguardavano principalmente le condizioni di lavoro imposte alle donne o i modi in cui aiutare le famiglie dei richiamati.

 Con l’avvicinarsi del periodo estivo e l’inizio della monda, intanto, un altro problema inizia a essere pressante. Cosa fare con i ragazzi e i bambini che, con l’inizio del periodo della monda, si ritrovano a essere lasciati a casa. In uno dei primi post abbiamo visto come si fosse tentato di abbassare l’età di accesso alla monda, in modo da dare la possibilità ai ragazzi più grandi di dare una mano alla famiglia economicamente e di occupare il loro tempo lavorando. Passato un anno, si moltiplicano gli appelli affinché si aumentino gli sforzi e le opere per dare assistenza a questi ragazzi. Tra i primi a lanciare l’appello è del vicario di Prarolo Paolo Bodo, che chiede ai comuni, ai comitati di previdenza, alle persone agiate di creare e finanziare l’istituzione dell’Assistenza materna: «aventi il nobile e santo scopo di assistere e custodire i poveri bambini delle mondarisi, di provvedere ad essi la minestra, di alleviare più che sia possibile da spese le povere famiglie dei richiamati – opere che erano – di semplice convenienza nel passato, nell'ora presente è diventata una vere ed impellente necessità» (La Sesia, 20 maggio ’16).


 L’appello viene ripetuto sul giornale La Sesia  in una lettera pubblicata su prima pagina, che vuole sottolineare i problemi riguardanti l’Assistenza materna per i comuni del contado, che «se per il passato esso non assunse l’importanza dei due primi, si fu, perché, trovandosi ancora a casa i padri, potevano essi stessi attendere ai bisogni delle loro famiglie e le madri – almeno gran parte di esse – potevano curare esse stessi i loro bambini; ora, invece, che la maggior parte dei padri sono chiamati dalla Patria a compiere il loro supremo dovere di buoni italiani (…) i poveri bambini, posti a custodia di altri bambini, che sebbene più grandicelli, non sono meno bambini ed inesperti di quelli che custodiscono, passano le intiere senza che un occhio vigili alla loro custodia, senza poter avere un po’ di minestra (…) Stando così le cose, chi non vede in questi bambini i medesimi bisogni degli orfani della guerra e dell’infanzia abbandonata». L’appello della lettera è quindi chiaro: promuovere e finanziare la creazione di altri centri per l’Assistenza materna che possano essere funzionanti durante il periodo della monda e anche oltre, perché: «i generosi che si faranno promotori dell’istituzione dell’Assistenza materna, nei comuni rurali, si avranno, oltre la benedizione di Dio, il più cordiale ringraziamento dei padri e delle madri e il più alto plauso della patria».

sabato 17 settembre 2016

Le "Grandi Intese" ai tempi della Grande Guerra

Protagoniste indiscusse del presente, le “grandi intese” tra partiti di ispirazione diversa nate per necessità elettorali non sono solo una prerogativa dei nostri tempi, così come le polemiche che attorno a queste nascono. Un esempio ci viene dato dall'amministrazione comunale di Palazzolo durante l’epoca di guerra, dove a governare era una coalizione tra Socialisti e Popolari.

Questa coalizione era nata nel giugno del 1914, a seguito alle elezioni in cui non era emerso un chiaro vincitore ed era nata «sembrava nata fatta per dare prova di modernità e di rinascente energia» (La Sesia, 14 maggio ’16). In realtà, i contrasti tra socialisti e popolari e quelli interni ai socialisti stessi avevano sin dai primi mesi generato problemi. La Sesia  individua il problema dell’amministrazione di Palazzolo nell’aver fatto l’errore di «asservirsi alle imposizioni del partito socialista. L’amministrazione comunale deve essere imparziale e diretta al benessere del paese, deve agire liberamente (…) questa, invece, prima di tutto prese a norma fondamentale della sua azione l’esame e il controllo preventivo dei vari problemi e delle varie questioni, per parte del Circolo Socialista». Nonostante avesse ottenuto diversi risultati (come l’abolizione di funzioni religiose e la soppressione dell’insegnamento religioso nelle scuole) i socialisti attraverso La Risaia che in due anni di amministrazione nessuna vicenda seria fosse stata affrontata e quindi aveva iniziato a espellere loro compagni, a chiedere le dimissioni di consiglieri popolari perché «indegni della pubblica fiducia» e a provare voti di sfiducia contro il sindaco. Insomma, per La Sesia «l’esperimento del partito socialista, che ha voluto assumere la responsabilità del potere con mezzo di ibride coalizioni, è completamente fallito».


Dall’altra parte dello steccato, anche i socialisti si lamentano per lo stesso motivo con l’amministrazione del comune di Palazzolo. Secondo loro, infatti, l’amministrazione è troppo morbida e poco “socialista”, tanto da ricevere continue critiche dal partito. Agli inizi di maggio i socialisti di Palazzolo si riuniscono e, dopo aver deciso per l’espulsione di alcuni iscritti perché rei di essersi recati a lavorare il primo maggio, discutono «sulla condotta amministrativa dei nostri consiglieri comunali causa di continui disaccordi e dell’attuale crisi comunale» (La Risaia, 11 maggio ’16). La discussione porta alla radiazione dal partito di tre consiglieri: Giuseppe Gagnone, Caio Mocca e Giacomo Poy. Come viene spiegata questa situazione dai socialisti? Sulla Risaia un articolo a firma G. Fiorano racconta come si è giunti a questo punto, con elementi che ricordano molte polemiche a noi contemporanee. «Alla vigilia delle elezioni – si legge – i componenti la maggioranza dell’attuale consiglio comunale, ovunque si passasse ci capitavano continuamente fra i piedi e ci promettevano mari e monti, Roma e toma, accentando qualunque proposta che fosse fatta da un solo elettore. Siccome pel passato queste persone almeno una parte di queste non rappresentava che la minoranza e quindi l’opposizione alla maggioranza allora imperante, gli elettori non potevano farsi un giudizio esatto sulle idee loro» e quindi, di quello che potevano fare. Per questo, secondo i socialisti, erano stati eletti consiglieri poco adatti, anche alcuni che erano stati eletti con appoggio dei socialisti e con la promessa di seguire le direttive dei congressi socialisti e del loro programma. Ma di quel programma solo in parte era stato approvato, mentre per gran parte era stato ignorato. «Da quest’esame noi ci siamo persuasi che non ha mantenute le promesse fatte per riuscire eletta e perciò confermiamo la nostra diffida, cioè che noi non crediamo più che quest’amministrazione meriti la fiducia e l’appoggio morale che abbiamo concesso nel passato» (La Risaia, 18 maggio ’16).

lunedì 15 agosto 2016

Ringraziamenti dall'America

Tra le tante sottoscrizioni aperte dal giornale La Sesia, molte vengono dirette ai soldati feriti durante la guerra e successivamente ricoverati nell'ospedale militare di Vercelli. In questo blog abbiamo già raccontato la storia del soldato Felice Zampini, che aveva subito l’amputazione di entrambe le mani e a cui vennero poi date delle protesi comprate grazie ai soldi raccolti tra i cittadini. Questa volta, invece, La Sesia riporta la storia di un altro valoroso soldato e dei suoi famigliari.
una foto del soldato Zampini

Il soldato si chiamava Filippo Faraone e, a seguito di una ferita, gli erano stati amputati entrambi i piedi. Il giornale aveva allora deciso di aprire una sottoscrizione a cui i lettori avevano aderito raccogliendo quasi 200 lire. Sfortunatamente, il soldato Faraone non era riuscito a usufruirne. Poco tempo dopo, infatti, stretto attorno all'affetto dei parenti e dei genitori giunti a Vercelli dalla campagna romana, era morto. Quelle 200 lire finirono quindi tra le mani della famiglia del caduto, che  «diede una così luminosa prova del commovente e reciproco affetto da cui è patriarcalmente unita» (La Sesia, 9 maggio ’16) ringraziando la città per l’aiuto dato. Tuttavia la gratitudine non si fermò lì. Ad aggiungere parole di ringraziamento alla città arriva al dottor Isnardi, medico del Faraone, anche una lettera dagli Stati Uniti (più precisamente da Syracuse), dal fratello del soldato, Angelo Faraone.

Angelo Faraone si rivolge, nella lettera, proprio al giornale La Sesia e ai vercellesi, che vuole ringraziare con tutto il cuore. «Da quello che ho letto sul giornale, dalle notizie mandatemi dalla famiglia, ho potuto ben comprendere quanto sia stato atroce l’agonia del mio povero fratello (...) Ma questo dolore è ben lenito dal pensiero che Egli è morto per la Patria, è morto assistito dai suoi più cari (…) e che il Popolo magnanimo vercellese ne ha compianto l’immatura perdita!. Ed il cuore nobile dei Vercellesi non solo si mostrò riconoscente verso il povero mutilato, non solo dette ospitalità ai  poveri genitori, non solo volle lenire il loro dolore con dolci parole di conforto, ma con il largir loro  la cospicua somma di 200 lire. Se il mio povero fratello, non colle parole potette dire a loro il grazie, glielo diceva certo  cogli occhi». La gratitudine si sposta poi al giornale: «A codesto giornale, alla sua redazione giungano graditi da questa lontana America i nostri sentiti ringraziamenti, uniti ai più begli auguri di felicità avvenire (…) Porgano i nostri ringraziamenti e saluti a tutto il popolo vercellese e sappia che della loro generosità noi serbiamo grato ricordo». 

sabato 6 agosto 2016

Contro gli "Untori" delle notizie

Mentre siamo ormai in aprile inoltrato, La Sesia decide di affrontare di petto una questione che sta iniziando a provocare un certo fastidio alla città, quello del proliferare delle notizie false. Un problema che va a intaccare direttamente i giornali, in prima linea nella lotta della propaganda interna e soprattutto tenuti a freno dalla censura che blocca l’uscita di notizie ritenute lesive. Per questo il giornale liberale vercellese l’11 aprile presenta in prima pagina un duro editoriale contro questa epidemia.

«Che in tempo di guerra – afferma il giornale – sia facile il sorgere ed il circolare di notizie errate, si può fino a un certo punto spiegare; ma quando le notizie, assolutamente false, prendono una forma concreta e precisa, con particolari altrettanto ben determinati quanto perfettamente inventati, allora si entra nel campo della malvagità criminosa, non solo passibile, ma meritevole delle più severe sanzioni della legge personale» (La Sesia, 11 aprile ’16). La notizia che aveva scatenato questa reazione riguardava il sindaco Piero Lucca, il quale avrebbe «ricevuto più di trenta telegrammi annuncianti la morte di altrettanti soldati vercellesi in guerra, e che il primo magistrato cittadino non sapeva decidersi a comunicare alle famiglie la dolorosa notizia». Altre notizie che circolavano incontrollate erano quelle che riguardavano diversi ufficiali vercellesi caduti in battaglia. Insomma «voci simili non possono non destare negli animi di quelli i quali hanno dei loro cari alla fronte, delle ansie angosciose, delle penose incertezze, dei dubbi spaventevoli (…) mentre in quest’ora tragica e solenne si ha tanto bisogno di animi forti, sereni, resistenti». Già i primi colpevoli erano stati trovati (La Sesia riferisce dell’arresto da parte del Pretore di un sacerdote), ma «occorre anche che i cittadini diano prova di buon senso e di patriottismo non prestando facile orecchio a queste voci allarmanti e false, e non facilitandone la diffusione- dando poi un consiglio valido ancora per i nostri tempi sul – diffidare sempre di quelle, specie se esagerate come le notizie dei giorni scorsi, che non provengono da fonte ufficiale. E quando il cittadino “sente” di essere vicino alla fonte della notizia falsa – per amore di giustizia – denunci senza missione questi untori».


L’appello, comunque, sembra non avere l’effetto sperato e qualche tempo dopo La Sesia  è costretta a parlarne nuovamente. Le voci incontrollate e false questa volta riguardano il caporale maggiore Pietro Marinone, vercellese reduce da una frattura alla gamba che si trovava in licenza a Vercelli e che era stato riportato in arresto al fronte. Su questa vicenda in molti avevano fatto ipotesi o fatto circolare notizie false sul motivo dell’arresto (che il giornale, a causa della censura, non può specificare). Alla fine il soldato era stato dichiarato innocente ed era tornato in licenza a Vercelli da uomo libero. E «chiunque dica il contrario mentisce vigliaccamente ai danni di un bravo, valoroso ed onesto soldato, e gli autori delle voci calunniose potrebbero essere chiamati a risponderne».

lunedì 4 luglio 2016

Le difficoltà del lavoro delle donne


Con uomini, figli, padri e mariti bloccati sul fronte di guerra, le donne, come abbiamo già avuto occasione di raccontare altre volte, avevano dovuto farsi carico anche del sostentamento economico della famiglia, andando a lavorare al posto degli uomini che combattevano al fronte. Tuttavia, molto spesso le condizioni di lavoro a cui dovevano sottostare non erano per niente simili a quelle degli uomini. La Risaia decide di evidenziare questo aspetto e a metà aprile pubblica un articolo proprio su questo argomento.


«L’anno scorso – scrive il giornale – le donne che si recavano sul finir dell’inverno nell'acqua fredda a spianare la risaia con la zappa prendevano sulle fini di Vercelli ventotto soldi al giorno e nelle cascine un po’ lontane trenta» (La Risaia, 8 aprile '16). Con l’anno nuovo e la necessità di più manovalanza e generi di prima necessità anche gli agricoltori avevano deciso di aumentare la paga delle loro braccianti, ma solamente di due soldi. Un aumento che però appare a tutti troppo basso per rispondere in modo adeguato alle difficoltà portate dalla guerra, soprattutto guardando a territori vicino al vercellese, dove la paga era stata aumentata anche di cinque/sei soldi. Per questo, sfruttando un momento favorevole, «con la panissa o minestra due volte al giorno, sospesero il lavoro con la speranza di ottenere qualcosa di più. Ma la difficoltà di far sciopero in questi momenti, già segnalato dall’On. Cugnolio alla Camera dei Deputati, apparve quasi subito. L’organizzazione delle donne è debole e gli uomini che avrebbero potuto incoraggiare il movimento sono al fronte». La cosa era resa ancora più difficile dal sussidio dei 60 centesimi concesso dal governo, che permetteva a molte donne di accontentarsi di una paga più bassa di quella a loro dovuta. Non solo: «La disoccupazione incalza e piuttosto che niente ci si accontenta di poco e si confida che abbia a cessare la guerra. Le donne vercellesi che sospesero il lavoro per due giorni della settimana scorsa vi tornarono lunedì. Martedì giunse notizia che erano ferme le donne di Ronsecco e che avevano sospeso il lavoro anche gli uomini senza che si conoscessero ancora le loro precise intenzioni».


La mancanza di coordinazione e le difficoltà di farsi sentire per i propri diritti, quindi, stavano avvantaggiando i padroni, che non solo possono pagarle meno, ma «a danno delle lavoratrici - tentano – un’altra speculazione. Trenta o trentadue soldi dev'essere il prezzo del lavoro ordinario della primavera per le donne (…). Ma la mancanza della mano d’opera maschile persuade gli agricoltori a far loro eseguire anche i lavori che prima erano devoluti agli uomini». Questi lavori, però vengono pagati meno rispetto a quello che ricevevano gli uomini. «Se le donne si  adatteranno a fare quel lavoro per quel prezzo danneggeranno i loro uomini che quando torneranno a casa troveranno che le donne hanno preso il loro posto e che i padroni non vorranno più pagare che circa trenta soldi al giorno pei lavoratori della primavera». Una evenienza da evitare a tutti i costi. 

martedì 14 giugno 2016

Buone nuove dal soldato Felice Zampini

Durante il settembre del 1915 la città di Vercelli e il giornale La Sesia si erano interessati alla storia di un soldato romano, giunto nel vercellese per essere ricoverato all'ospedale militare per le ferite riportate in battaglia.


Il suo nome era Felice Zampini, giovane militare reduce già dalla guerra in Libia e che aveva subito l’amputazione di entrambe le mani a seguito dello scoppio di una bomba austriaca al fronte. La situazione dello Zampini porta a lui molte simpatie dalla cittadinanza, che grazie al giornale La Sesia decide di aprire una sottoscrizione a suo favore e nel giro di qualche giorno vengono raccolte 1.500 lire, che permettono ai medici di acquistare e installare due protesi che possano aiutare il soldato nella vita civile. A mesi di distanza il giornale torna a dare notizie sulla sorte di Felice Zampini e sulla sua sorte. «Abbiamo, un giorno, pubblicato un ritratto dello Zampini coi due moncherini – spiega il giornale ai suoi lettori -; ne pubblichiamo oggi un altro, dove il bravo soldato è fotografato con le mani artificiali che gli tengono il posto di quelle sfracellate dalla  bomba nemica ed amputate» (La Sesia, 31 marzo '16).  La foto ritrae il soldato Zampini con in mano una bottiglia di vino e nell'altra il bicchiere. Questa è una cosa che sorprende il giornale visto che «tutti sanno come la mano negli antichi apparecchi non serva che per figura – anzi per alcuni l’apparecchio – è più un ingombro che un’utilità. Si capisce poi in quali pietose condizioni si trovi un individuo, al quale manchino tutte e due le mani, che deve avere un aiuto per i bisogni più comuni e più intimi».


Ma per il soldato Zampini il prof. Isnardi, direttore dell’ospedale militare, grazie ai soldi giunti dalla sottoscrizione e dal finanziamento giunto dalla Cassa di risparmio «dopo varie prove poté far preparare dall'operaio vercellese Ramagni due arti coi quali il mutilato di ambe le mani può prendere una bottiglia con una mano artificiale, togliere il tappo, nascere il contenuto nel bicchiere, deporre la bottiglia, e coll'altra mano afferrare il bicchiere, portarlo alla bocca, bere e deporlo al suo posto. Così può usare cucchiaio e forchetta, abbottonarsi e sbottonasi la giacca, il gilè ed i pantaloni senza l’aiuto di alcuno. Nello stesso modo e con disinvoltura e precisione di movimenti, è capace di stringere la mano, di ritirare un libro dal tavolo, reggere una sedia (…) E la forza, essendo data dai potenti muscoli del braccio, si può durare molto a lavorare senza risentire stanchezza». Grato, quindi, per ciò che è stato fatto per lui il soldato aveva inviato una fotografia al giornale e alla città che tanto avevano fatto per lui e per la sua salute. E il giornale la pubblica, allegando i complimenti al professor Isnardi e soprattutto all’ortopedico Ramagni, costruttore di un apparecchio “semplicissimo” e, soprattutto, servibile. 

giovedì 26 maggio 2016

La guerra continua! I socialisti chiedono nuovi contributi

Dopo quasi un anno dall’inizio della guerra ancora non sembra profilarsi all’orizzonte un vero vincitore. Lo stallo nella conduzione della guerra e il suo prolungarsi stanno iniziando a creare molte difficoltà nei Paesi partecipanti al conflitto. Se c’era qualcosa che proprio nessuno si aspettava è che la guerra potesse non finire in tempi brevi. Per questo gran parte dei provvedimenti presi nei mesi precedenti sembrano essere insufficienti. Per questo i socialisti a Vercelli iniziano ad alzare la voce per cercare di ottenere maggiori risorse da stanziare ai lavoratori e le loro famiglie.

Primo obiettivo sono i padroni di terreni e risaie, accusati dal giornale socialista La Risaia di non aver aumentato la paga dei loro lavoratori nonostante il costo della vita stia aumentando sensibilmente. La scusa addotta dai padroni è la povertà delle annate precedenti, che renderebbero impossibile dare più soldi ai loro dipendenti. Ma La Risaia non si fida e chiede a agricoltori e parlamentari di indagare su questa cosa, in modo da dimostrare la veridicità delle affermazioni dei padroni. «I nostri agricoltori non trovano mai l’annata buona per aumentare qualche soldo di paga ai contadini. Noi quest’anno, come abbiamo ripetutamente detto, non vogliamo fare nessun movimento organizzato: ci si lasci almeno la soddisfazione di dimostrare che la risposta che ci fu data non è giusta» (La Risaia, 4 marzo 1916).



Il secondo bersaglio è quello del sindaco Piero Lucca e della sua politica. Il sindaco Lucca, racconta il giornale, era salito al potere prima dell’inizio della guerra vincendo un elezione grazie a un programma di stampo liberista e alla promessa di non imporre nuove tasse durante il suo mandato. «I contribuenti hanno uno straordinario timore delle tasse, e posti al bivio tra i socialisti, che volevano imporre balzelli sui ricchi ed abolire il dazio gravante sui poveri, e la autorevole sicumera affermante che di danari ce n’erano anche troppo, non hanno esitato un minuto» (La Risaia, 11 marzo 1916). La promessa era quindi stata mantenuta; anzi, il sindaco ne aveva tolte altre che gravavano sui proprietari con diversi tagli nel bilancio. «Perché noi avremmo compreso tener fede a tal promessa – diffusa alle turbe dal suo amico Gallardi – nei periodi di lavoro e di pace, quando i bisogni delle famiglie, le miserie, i patimenti rappresentavano l’eccezione (…), ma l’incocciarsi tedesco a non voler mutar sillaba a un sillabo elettorale, proprio in questi momenti dolorosi, ci riesce incomprensibile». La soluzione è semplice per La Risaia: «tassi senza misericordia i contribuenti che posseggono, che hanno industrie, che hanno case, che hanno esercizi e devolva il ricavato alla sottoscrizione pro famiglie dei richiamati». In questo modo, il Comune sarebbe in grado di far fronte alle difficoltà delle famiglie dei richiamati e si potrebbe così rifarsi di tutti coloro  che «hanno e non danno», quei cittadini più facoltosi che volontariamente non partecipano alle sottoscrizioni più avendone i mezzi. «L’inverno è stato lungo: non è ancora finito; il pane ed il carbone sono a carissimo prezzo: i pochi soldi che il Governo elargisce non possono in piccola parte lenire tanta miseria. Ci giungono di tanto in tanto, dal fronte, lettere di nostre compagni, ripiene d’ansia e di dolore per la sorte dei loro vecchi,  delle loro donne, dei loro bambini».



mercoledì 11 maggio 2016

Le questioni politiche ai tempi della guerra

Mentre la guerra si infiamma in tutta l’Europa, non si ferma in Italia e nel vercellese la contesa politica. A fine febbraio, quindi, La Sesia  e La Risaia hanno un breve scontro sulla nomina a consigliere provinciale di Giovanni Vercellotti, del mandamento di Trino. Qual era il problema?

Il consigliere Dino Rondani
 Vercellotti era un politico di lungo corso, che aveva fatto parte del consiglio provinciale per moltissimi anni; ma nell’ultima tornata elettorale era stato sconfitto dal candidato socialista, l’Onorevole Dino Rondani. La sua elezione, però, era stata contestata: «L’on. Rondani non possedeva i requisiti voluti dalla legge per coprire quel posto; era, in altre parole, ineleggibile». La legge, quindi,  prescriveva che in casi come questo a prendere il suo posto fosse colui che era arrivato secondo alle elezioni. Il compito era quindi toccato a Vercellotti. Quest’ultimo, però, non era riuscito a partecipare alle prime sedute per le precarie condizioni di salute. Sfruttando quest’assenza, Il lavoratore, giornale socialista novarese, si scaglia contro Vercellotti: «Sappia il Commendatore, che se gli venisse la debole volontà di mettere piede nel Consiglio provinciale, potrebbe trovare una poco cortese accoglienza … perché egli vi sarebbe intruso; si decida quindi. O fare il Consigliere provinciale a casa … oppure lasciare che gli elettori del mandamento di Trino mandino il loro legittimo rappresentante al Consiglio provinciale». La Sesia attacca duramente il giornale Il lavoratore e i socialisti, affermando che la critica verso Vercellotti non sarebbe stata fatta se a essere eletto fosse stato un socialista. «La Corte d’Appello dichiara Vercellotti legittimamente investito delle sue funzioni di Consigliere provinciale? Non importa: egli non deve entrare nel Consiglio provinciale, pena una … poco cortese accoglienza per parte del gruppo socialista. Tirannia rossa, tirannia moderna, non meno antipatica delle tirannie d’altri tempi e d’altri metodi!».


A rispondere agli attacchi della Sesia ci pensa La Risaia rispondendo al giornale quattro giorni dopo con un articolo dal titolo Diritto e convenienza. Per prima cosa, il giornale socialista prende le distanze da Il lavoratore di Novara: «Non approviamo – scrive il giornale – la pubblicazione del Lavoratore di Novara, non l’approviamo proprio perché ci pare inutilmente verso il Comm. Vercellotti» (La Risaia, 26 febbraio 1916). Tuttavia il giornale non può che far notare una cosa: «Il Comm. Vercellotti che fu membro della Deputazione provinciale, non si adatta certamente a entrare in Consiglio per la porticina di un annullamento di elezione a rappresentarvi una minoranza di elettori perché la maggioranza ha detto chiaramente col voto a Rondani di non aver fiducia in lui». La critica rivolta a Vercellotti, quindi, è quella di non rispettare realmente la volontà degli elettori. «La legge regola i casi generali. Essa stabilisce che quando le elezioni di colui che ebbe il maggior numero di voti è nulla gli si sostituisce quello che ebbe dopo gli eletti maggiori voti purchè il numero dei voti riportato non sia inferiore ad un ottavo dei votanti. Ma altro è la legge ed altro il senso politico». Conclude La Risaia che: «Il Comm. Vercellotti è troppo antico e corretto amministratore perché sia supponibile che egli possa volersi addirittura fondare su una minoranza».

mercoledì 13 aprile 2016

Il prestito nazionale e le scuole di Cigliano

Giunti al 1916, il governo italiano inizia a lanciare richieste ai cittadini affinché sostengano  lo sforzo dell’esercito italiano sottoscrivendo un prestito che «assicura un reddito netto del 5.12 per cento d’interesse annuo esente da ogni tassa presente e futura, poiché tutti sono compresi dell’alto fine nazionale, di questo prestito, che a giusta ragione si deve chiamare Prestito della Vittoria» (La Sesia, 4 febbraio ’16).
Alcune cartoline sul Prestito Nazionale


Questa raccolta di denaro viene quindi sponsorizzata sulla Sesia, che invita il pubblico a spogliarsi «da dubbi ingiustificati, da timori e da pregiudizi, poiché il Prestito attuale non è altro che un debito dello Stato, come tutti gli altri debiti dello Stato e come gli altri garantito nel modo più assoluto … È bene mettere in chiaro che coloro che sottoscrivono ora, si assicurano per non meno di dieci anni, un reddito superiore a quello di tutti gli altri valori di Stato, poiché per tanti il Governo si è impegnato solennemente a non ridurre l’interesse del Prestito; per dieci anni, vale a dire per un lungo periodo dopo la conclusione della pace». L’appello della Sesia, quindi, è quello di convincersi a prestare soldi allo Stato, evitando di aspettare “prestiti a condizioni migliori”, perché «Codesti astensionisti, che credono di poter speculare sull’avvenire, dimenticano che, se nuovi Prestiti dovranno essere emessi, a prezzo minore od a saggio maggio, anche i possessori dei prestiti precedenti saranno chiamati a goderne il beneficio». «Vi può ancora essere della gente dubbiosa – si chiede La Sesia – che forse non esiterebbe davanti a speculazioni azzardate, la quale si mantenga tuttavia indecisa a prestare del denaro, sul cui titolo il debitore è lo Stato, la nostra Italia».


Alcune cartoline sul Prestito Nazionale
Tra gli esempi virtuosi che la Sesia racconta, uno arriva dalla scuola del comune di Cigliano. Qui il Regio Ispettore Prof. Zucchelli aveva avanzato agli insegnanti la proposta di raccogliere i soldi nelle scuole e con quelli acquistare due titoli del nuovo Prestito Nazionale del valore di 100 lire, che poi verranno consegnate alla Croce Rossa come pagamento per l’iscrizione delle scuole di questo comune «Fra i soci perpetui dell’umanitaria istituzione». L’iniziativa ha subito successo: «Già venne trasmessa al R. Ispettore la prima rata di L. 19 e verranno senza dubbio inviate le successive quote mensili (…) Gli scolari vanno a gara sulle esortazioni dei propri maestri, nel consegnare di quando in quando i loro piccoli risparmi. In modo speciale vanno segnalati quelli del corso popolare diretto dalla maestra Maria Vincenza Carando, i quali, col cuore infiammato di amor patrio e col vivo desiderio di lenire le sofferenze dei nostri eroi, ogni giorno depongono il loro obolo nella cassettina che la loro maestra tiene sulla cattedra, vicino al vivido emblema della Croce Rossa (…) il nostro plauso ai bravi alunni delle scuole di Cigliano, ai benemeriti insegnanti e un plauso tutto speciale al distinto Ispettore scolastico (…) Possa così il valoroso nostro esercito, coll’incoraggiamento ed il contributo delle popolazioni, mantenere quell’entusiasmo che già tanto lo ha distinto per valore e dare alla nostra bella Patria il trionfo finale della vittoria».

mercoledì 6 aprile 2016

L'appello di Benedetto XV alla pace mondiale



Dopo i recenti massacri di cui si era avuto notizia Papa Benedetto XV fece un pubblico appello alla pace mondiale. Il vescovo di Biella, Monsignor Natale Serafino, riprese le parole del pontefice commentandole e facendo di quelle parole un baluardo politico contro i socialisti: “L’Appello Papale luminosamente dimostra ancora una volta il Soglio di Pietro quale Arca Santa della Civiltà” e quindi “solo da chi non lo conosce può essere non amato e indegnamente dileggiato”. La pace, secondo il vescovo, poteva essere raggiunta solo mediante penitenze e preghiere, rivolte non per “implorare da Dio la cessazione della guerra”, ma anche e soprattutto ai caduti: “Non dimentichiamo le anime trapassate dei nostri prodi! Sulla loro tomba sacra alla gloria del dovere compiuto con onore per la Patria si innalzi l’inno immortale del suffragio!”. Proprio per onorare i soldati morti per la Patria il vescovo invitava a recitare il “De profundis” in conclusione delle messe nei giorni di precetto.
Si invitavano inoltre i fedeli a prendere parte ad una speciale unione di preghiere costituita da:
1. Una visita quotidiana a Gesù Sacramentato;
2. Una Comunione settimanale;
3. Un’ora di adorazione mensile.


Proseguono le chiamate di leva
Le chiamate di leva continuano e si è giunti alla classe 1896. Tutti i richiamati devono presentarsi alle caserme delle circoscrizioni per le visite di rito entro il 1° dicembre 1915.
In queste visite furono visitati nuovamente i riformati che erano stati rimandati per le imperfezioni ed infermità, di cui riportiamo alcuni esempi: deficienza di statura da m 1,50 a meno di m 1,55; debolezza di costituzione e notevole deperimento organico; deficienza di sviluppo toracico, obesità, anemia; diabete zuccherino; ulcere croniche; congiuntiviti croniche; ipertrofia delle tonsille; collo voluminoso; nevrosi cardiaca; malattie croniche dei visceri addominali; emorroidi.
Donazioni pro mutilati
L’industriale Romeo Reda, già “benemerito per le sue generose offerte pro richiamati militari di Gaglianico” si rese ancor più benemerito offrendo 10.000 lire per i mutilati del circondario di Biella.
Il nuovo calmiere sul pane e sul latte
La portata della donazione di Romeo Reda può essere apprezzata con un rapido confronto con i prezzi calmieri di pane e latte. Il pane di frumento tipo 80% era fissato a 0.55 L/kg, il pane di frumento e segale 0.50 L/kg, il pane di sola segale o meliga a 0.40 L/kg, mentre il latte era fissato a 0.25 L/l.
I negozianti non potevano esigere un prezzo superiore a quello stabilito, né rifiutarsi di vendere pane o latte di cui erano forniti, questo per evitare accumuli e speculazioni, pratica incresciosa quanto comune fin dall’inizio della guerra.
Ferito prima di partire per il fronte
Il sottotenente Giovanni Sapellani, appena giunta la notizia della sua nomina ad ufficiale, si recò ad acquistare una rivoltella. Nell’atto di consegnare l’arma al commesso partì accidentalmente un colpo che “passò da parte a parte il fianco del sottotenente”, il quale si fece trasportare all’Ospedale militare.

Da il Biellese del 8 dicembre 2015

giovedì 24 marzo 2016

Il soldato redento dalla guerra

Nuove storie di vita militare continuano a essere raccontate sulla Sesia ogni settimana. Alcune, oltre a tradizionali toni patriottici e storie famigliari, ne spunta fuori qualcuna che parla di redenzione personale attraverso il sacrificio fatto al fronte. Uno di questi viene fatto dal giornale vercellese il 18 gennaio, in occasione del ritorno di molti militari dal fronte per la licenza.


«Di questi giorni – racconta La Sesia – i treni, le vie della città, quelle dei nostri borghi formicolano di soldati d’ogni reggimento, d’ogni classe, che vengono a casa in licenza, la sospirata licenza che li restituisce per pochi giorni alle gioie ed alle tenerezze della famiglia» (La Sesia, 18 gennaio ’16). I soldati che arrivano in licenza sono di diversa estrazione sociale ed età: «vigorosi fucilieri già veterani della Libia, misti ai giovani soldati delle ultime leve ed alle reclute delle ultimissime: dei giovanotti imberbi, quasi ancora ragazzi, ma fieri, risoluti, superbi delle belle prove  già fatte, delle rudi fatiche sopportate (…) Questo sentimento di giusto, legittimo orgoglio brilla negli occhi di tutti questi valorosi, fatti segno, in questi giorni, a tante affettuose dimostrazioni». Ma un soldato in particolare attira l’attenzione del giornale per la peculiarità della sua storia personale, e soprattutto per il fatto che la guerra pare averlo cambiato … in meglio. «Il pensiero del dovere compiuto compie, anche altre metamorfosi, delle trasformazioni, non solamente materiali, ma anche, e soprattutto, spirituali» spiega La Sesia.

Soldati in attesa di partire per la licenza (fonte www.14-18.it)
Non tutti i soldati, racconta il giornale, sono per forza bravi cittadini, giovani onesti di buone famiglie, umili lavoratori che sono l’orgoglio dei loro genitori. Tra questi soldati partiti per il fronte ogni tanto «balza fuori di tanto in tanto la figura trasformata di qualche traviato, che ebbe nel passato anche dei conti da sistemare con la giustizia del suo paese» persone che «Il Saragat – nel suo libro – ha definito il “mondo birbone”; in quel mondo dei reietti, dei pregiudicati, dei sottoposti a vigilanza speciale, dei sospettati in permanenza, sui l’occhio della polizia vigile ed indagatrice si porta alla scoperta di ogni malefatta di ogni ruberia». Di queste facce, se ne erano viste diverse partire per il fronte; ma al loro ritorno essi non erano più le stesse persone che sono partite. La vita trascorsa al fronte, indossando la divisa e compiendo valorosamente il loro dovere, li aveva cambiati nel profondo. Uno di questi, «di questa schiera fra i più marcati. La figura stessa lo segnalava come un triste soggetto. Lurido , losco, scarmigliato, con gli abiti a sbrandoli ed il berretto unto sulle ventiquattro, l’occhio torvo, il mozzicone spento fra le labbra, il fare spavaldo e l’andatura strascicante del teppista». Eppure proprio questa persona si era presentata una settimana prima a richiedere indumenti per l’inverno e se non fosse stato per il nome, afferma il giornale, non sarebbe stato riconosciuto.


Soldati sui treni in viaggio per tornare a casa (fonte www.14-18.it)
«Avevamo davanti a noi un bell’Alpino, tracagnotto, ma dritto e  poderoso (…) aveva in tutto l’insieme un aspetto di distinzione negli occhi un raggio d’orgoglio (…) È già stato ferito, non da un proiettile, ma da uno di macigni che gli austriaci (…) Ne parla con un senso di soddisfazione, come di una prova bene superata e come una buona promessa per l’avvenire». La conclusione non può che essere una solamente … La guerra sta servendo al giovane per espiare le sue colpe, lavare la sua coscienza, «cancellare il suo passato obbrobrioso e restituirlo alla società il mondo delle peccata d’un tempo non lontano». 

giovedì 17 marzo 2016

Il calmiere sul prezzo del pane



Le discussioni più accese del periodo estivo furono quelle relative al prezzo del pane. Questo problema, che colpiva tutti gli strati della popolazione, era particolarmente sentito da ogni parte politica, che chiedeva l’intervento del governo centrale per un calmiere sui prezzi dei generi di prima necessità. Nonostante i calmieri già esistenti dal 1914, infatti, il prezzo di grano e pane era costantemente cresciuto, soprattutto dopo l’ingresso in guerra dell’Italia. Come abbiamo già scritto, il problema della carenza degli uomini per la mietitura aveva creato disagi e costi aggiuntivi, ma il problema più grave era quello creato dalle speculazioni che alcuni coltivatori e mugnai facevano, razionando il grano per avere maggiori guadagni. La giunta comunale più volte si appellò al parlamento perché volesse porre calmieri sui prezzi e perché chiarisse i prezzi e le quantità del grano importato dall’estero proprio per evitare il rischio di speculazioni. Il problema fu parzialmente risolto con l’emanazione di nuove leggi sul calmiere e grazie all’intervento del Consorzio Granario Provinciale che si fece distributore ufficiale di grani e farine per la provincia.
Concerie e calzaturifici per l’esercito
Un Regio decreto ordinò che le concerie e i calzaturifici aumentassero la produzione di calzature, in particolare di scarponi, per le forniture militari. Si chiedeva di produrre tutto il possibile per andare incontro alle pressanti esigenze del Regio esercito, che non riusciva a sopperire nemmeno grazie alle forniture portate dagli stessi richiamati.

Il primo morto all’ospedale di Biella
Col passare delle settimane l’ospedale militare di Biella iniziò a svuotarsi per le avvenute guarigioni dei soldati, che furono, quindi, reinviati al fronte. Ma il ricambio era continuo e nonostante molti tornassero a combattere altrettanti ne prendevano il posto, sempre accolti da grandi segni di affetto da tutta la popolazione. Segnaliamo il nome del primo deceduto dopo il ricovero nell’ospedale cittadino: Camillo Marzarino, alpino di 50 anni, originario di Asti. Giunto dal fronte con gravi ferite al braccio, si spense nell’ospedale e tutte le autorità cittadine parteciparono ai funerali e al cordoglio del primo caduto per la guerra in terra biellese. Nei giorni successivi il vescovo di Biella e l’Arcivescovo di Vercelli fecero visita ai malati ricoverati portando parole di conforto.
La guerra al cinema
Il Cinema Edison di Biella ospitò “la grandiosa pellicola” documentario dal titolo La guerra Europea, con immagini prese “dal vero, quindi interessantissima”.  I 73 quadri che compongono la pellicola erano filmati in tutti i teatri bellici europei, dalla Germania alla Russia, dal Belgio alla Serbia, dall’Austria all’Italia. Uno dei punti più rimarchevoli del documentario erano gli effetti dei colpi di mortaio da 420 nelle città di Liegi ed Anversa. Queste immagini erano rese ancor più vivide dall’esposizione di uno di questi proiettili da 420 mm nella vetrina di un negozio di via Umberto (oggi via Italia) per volere della Direzione del Cinema Edison stesso.

Da il Biellese del 24 novembre 2015