lunedì 28 settembre 2015

L'appello della Sesia... Difendiamo i nostri soldati dal freddo!

Soldati sul fronte in inverno
Mentre si giunge alla metà di agosto, il Governo italiano inizia a mandare richieste a tutta l’Italia affinché la popolazione si mobiliti e fornisca ai soldati al fronte indumenti caldi in vista dell’arrivo dell’inverno. All'inizio di agosto su La Sesia appare un appello alle donne vercellesi, promosso dall'Unione femminile e dal Comitato “Pro soldati”, che hanno appena fuso «la loro azione diretta a provvedere delli indispensabili indumenti invernali i nostri prodi soldati, che nelle zone alpine con tanto valore combattono per la gloria e potenza della Patria» (La Sesia, 3 agosto ’15) tutte cose indispensabili per i combattenti stanziati sulle Alpi. Le due associazioni, presi accordi con le autorità locali, si dovranno occupare di rifornire di indumenti per l’inverno alle truppe che in tempo di pace si trovavano dislocate  nella zona del Vercellese.  L’appello viene mosso in modo particolare «alle donne di Vercelli, d’ogni classe e condizione, perché coll'opera volenterosa ed amorevole di tutte si possa adeguatamente ed in tempo provvedere». E cosa occorre ai soldati? «Essenzialmente calze di lana, calzettoni uso ciclisti, mutande pesanti, camicie flanella, sciarpe, panciotti, berrettoni, passa-montagne, manichini e guanti di lana ed altri simili indumenti».

Soldati italiani sul fronte alpino
La richiesta conquista la prima pagina una settimana più tardi, quando il giornale vercellese fa nuovamente appello per ottenere indumenti per i soldati. «Lassù in alto – scrive il giornale – nelle posizioni conquistate dai nostri soldati col loro valore e col sangue; sulle vette d’onde possono efficacemente battere il nemico, che da tanti anni aveva compiuta la sua preparazione tanto insidiosa per noi; lassù il freddo è già intenso oggi: che sarà fra poco, nell'autunno e specialmente nei mesi dell’Inverno?» (8 agosto ’15). Quindi, prosegue La Sesia, è necessario ripararli dal freddo in modo che possano continuare a proteggere la patria terra. Il Governo purtroppo, prosegue il giornale, ha già moltissimi compiti da assolvere per il vettovagliamento, l’armamento e la fornitura di materiale bellico, il tutto tra l’altro rallentato dall'inefficienza della burocrazia. «La immane macchina dello Stato si muove lentamente, specie se deve provvedere a nuovi (…) Il paese, invece, con una spontanea, volenterosa mobilitazione, può sopperire all'urgente bisogno». L’appello è rivolto verso tutti, sia abbienti che poveri: «i ricchi possono provvedersi di questi indumenti presso i negozianti e farne dei pacchi; i non abbienti possono confezionarsene; se tutte le famiglie povere mandassero almeno un paio di oggetti – e non sarebbe un sacrificio gravissimo – se ne avrebbe subito una enorme quantità (…) Ricchi e poveri, frugate nei vostri guardaroba, acquistate qualche oggetto, e voi donne, d’ogni condizione, confezionate in questi mesi calze, berretti, maglie e pensate alla riconoscenza che avranno per tutti voi i nostri valorosi soldati». Il tutto prima del 10 settembre, per poter provvedere meglio alla distribuzione.

soldati sul fronte
alpino
L’appello viene nuovamente ribadito, sempre in prima pagina, una settimana più tardi. Il giornale liberale vercellese si rivolge ai cittadini ricordando nuovamente le imprese dei soldati durante la guerra. Queste debbono essere protette conservando i soldati dall’inverno. E questo, secondo La Sesia, è un compito che tocca ai cittadini: «Non al Governo. Non perché il governo non senta questo dovere e non voglia compierlo; ma perché non può (…) È dalle case nostre, dalle nostre guardaroba, che devono uscire indumenti coi quali potremo riparare dal freddo i nostri giovani e forti combattenti (…) Difendiamo i nostri soldati dal freddo! Noi daremo loro un piccolo soccorso individuale; essi ci daranno una patria più grande, più gloriosa, più prospera!» (15 agosto ’15).


martedì 22 settembre 2015

I vercellesi contro il governo Salandra

Antonio Salandra
All'inizio di agosto giunge a Vercelli la notizia che il Ministero delle Finanze, guidato da Edoardo Daneo, ha concesso l’esportazione di frutta fresca oltre confine in tutti i Paesi tranne quelli che sono in guerra con l’Italia. Una notizia che provoca un certo disappunto verso il Governo, visto che è ancora in vigore la legge che proibisce la vendita dei raccolti di riso in eccesso all'estero e la mancanza della proroga della riduzione ferroviaria concessa ai mietitori di grano ma che invece non era stato concesso a quelli di riso «rifiuto giustificato con l’affermazione, contraddicente ai motivi allegati per il divieto di esportazione, che pel riso non trattasi di un interesse generale d’Italia» (La Sesia, 6 agosto ’15).

Edoardo Daneo, ministro delle
finanze
Per questo motivo il presidente dell’Associazione degli Agricoltori, Carlo Arborio Conte di Gattinara, decide di mandare un Memorandum al governo Salandra per convincerlo a prendere provvedimenti in favore del mercato risicolo. Arborio si lamenta per una «ormai costante dell’immeritato diffidente preconcetto che anche al R. Governo si ha contro la risicoltura (…) dalle facilitazioni della moratoria, proprio e soltanto gli agricoltori furono esclusi; che quando fu dimostrato, sulle basi dei bollettini del Ministero delle finanze, l’eccesso di oltre due milioni di quintali sul fabbisogno normale interno, fu negata l’esportazione del riso anche per le neutrali Americhe». Ma queste non sono le uniche cose che venivano imputate al Governo. Nessuna risposta era giunta alla richiesta di facilitazioni per la ricerca e per lo spostamento dei mietitori; degli oltre duemila cavalli richiesti per il raccolto solo quarantatré erano stati concessi dall'esercito. La richiesta era quella di interessarsi alle vicende del territorio e «interporre la propria grande influenza presso i competenti ministeri per la concessione di una parziale, almeno, esportazione del riso eccedente, e cioè di quei tipi di lusso».


Fabrizio Maffi
deputato socialista
A lamentarsi, anche se per motivi diversi, è anche La Risaia che punta l’indice contro la poca efficacia dei Comitati di soccorso che non riescono a raccogliere abbastanza fondi per poter effettivamente dare una mano ai più bisognosi. Il giornale socialista afferma che questi sono più utili ai padroni che «pagano volentieri qualche biglietto da dieci lire, ma non il decimo del loro reddito – mentre nel vercellese ci sono – povere donne di richiamati che all'inizio della monda si coricarono pel parto e quindi nulla poterono guadagnare» (La Risaia, 7 agosto ’15). Il giornale socialista fa appello al deputato, anch'esso socialista, Fabrizio Maffi, affinché invece di sostenere i Comitati spinga i politici socialisti vercellesi a unirsi e a spingere per riuscire a trovare i mezzi per finanziare i più poveri. In caso di ostacolo da parte delle autorità tutorie o del Governo, la risposta dovrebbero essere le dimissioni di massa dalle amministrazioni comunali, in modo da «lasciare ogni responsabilità alla borghesia, ai suoi partiti, al Governo, della situazione da essi creata», oltre a creare una spaccatura nella concordia nazionale necessaria a un periodo di guerra 

lunedì 14 settembre 2015

Il dibattito sul prezzo del grano sui giornali vercellesi

Oltre alla guerra sulle spalle degli italiani e dei vercellesi a fine luglio inizia a pesare anche un rincaro del prezzo del grano, dovuto tra l’altro a una annata agricola non abbastanza soddisfacente. Il tutto andava chiaramente a colpire anche l’economia vercellese, che era già debilitata dall'impossibilità d’esportazione di riso all'esterno. Sulla Sesia del 27 giugno la questione del mercato del grano finisce in prima pagina con un articolo scritto da Carlo Sacchi il quale descrive gli enormi sbalzi «avvenuti nei prezzi del frumento in poco più di un mese e mezzo. Dalle L. 44 il quintale a cui era quotato in fine di maggio, ebbe a discendere a L. 34 verso la fine di giugno. Iniziatosi il nuovo raccolto, le prime partite apparse sul mercato vennero quotate circa L. 32. Ma sparsasi la voce che il raccolto fosse deficiente, tanto che in circa dieci giorni i prezzi salirono a L.40 il quintale!» (La Sesia, 27 luglio ’15). Sacchi quindi, chiede un intervento diretto del Governo: se il raccolto fosse veramente scarso, il Governo allora dovrebbe acquistarne all'estero in modo da abbassarne il prezzo; se il raccolto invece fosse sufficiente allora il Governo dovrebbe frenare la speculazione imponendo un calmiere ai prezzi. La richiesta viene mandata direttamente al Ministro dell’agricoltura Giannetto Cavasola, affinché provveda al più presto al benessere del popolo.

il ministro dell'agricoltura Giannetto Cavasola
Il dibattito viene alimentato dalla Sesia nel numero successivo, quando sempre in prima pagina finisce un articolo del Cavalier Cesare Gusmani, consigliere dell’Ufficio Agrario della Provincia di  Novara che dissente dalla visione di Carlo Sacchi. Gusmani afferma di non meravigliarsi più di tanto delle oscillazioni di prezzo del mercato del grano, risultati della «ferrea legge della domanda e dell’offerta, alla quale non può sottrarsi nemmeno il grano» (La Sesia, 30 luglio ’15). Il Consigliere poi critica la scelta di Sacchi, che chiedeva di fissare a 26 lire il prezzo del grano, una cosa impensabile per Gusmani poichè è la guerra che ha comportato «oneri ben maggiori che ora pesano sull'agricoltore per il rincaro della mano d’opera, del bestiame da lavoro, del concime, delle macchine agricole ecc. ecc.? (…) Io sono d’avviso che non sia il caso di impressionarsi soverchiamente e di adottare misure draconiane. Il Governo ha a sua disposizione un’arma efficacissima, per influire sul mercato del frumento, nell'importazione diretta dal di fuori». Il calmiere, invece, nasconde troppe insidie e sicuramente non si dovrebbe partire dalle 26 lire pensate all'inizio da Sacchi


Ad avere un’opinione più radicale sull'argomento è, invece, La Risaia, che un giorno dopo l’articolo di Gusmani in prima pagina presenta un articolo dal titolo Il Governo deve requisire il grano. Vista l’impossibilità di poter comprare grano dalla Russia per la guerra, e visto che il cambio sfavorevole rende il comprare grano dall'India o dall'America molto costoso (nonostante la decisione di revocare i dazi nell'acquisto di grano dall'estero) l’unico rimedio per i socialisti è quello di requisire il grano, in modo che «gli speculatori non possano arricchirsi dal male della patria» (La Risaia, 31 luglio ’15). Il giornale si rende conto che si tratta di una soluzione drastica, ma «quando si tratta di tener lontano il nemico dal suolo della patria non val nulla la vita e la proprietà deve essere pronta anch'essa a tutti i sacrifizi. L’economia di guerra sfugge alle solite regole (…) il germe velenoso dell’economia nostra di guerra è lo speculatore. La requisizione del grano è una disinfezione del mercato. Distruggete gli speculatori, requisite il grano».

lunedì 7 settembre 2015

Le donne e la guerra! Due punti di vista differenti


Donne portatrici di ghiaia per costruzione di strade
«No, non sorridete! Le mie eroine sono umili e modeste persone; e non agitano tricolori, non mettono il loro nome in una sottoscrizione, non figurano a capo di un comitato, non dicono parole di cui esse stesse ascoltino con compiacenza la risonanza. Sono madri esemplari, mogli coraggiose, sorelle miti e buone» (La Sesia 11 luglio ’15). Con queste parole si apre un lungo articolo dal titolo Poesia e virtù dell’eroismo femminile, con il quale per la prima volta a un mese e mezzo dall’inizio della guerra, l’attenzione viene posta lontano dagli uomini al fronte e portato verso quelle che sono le custodi delle case durante la guerra, le donne. L’articolo del giornale vercellese mira a elogiare il sacrificio «semplice con cui compiono il loro dovere di rassegnazione – che è – il più sublime slancio patriottico che si possa chiedere ad una donna!». L’elogio viene specialmente rivolto a tutte quelle donne che durante il conflitto hanno perso il proprio marito o figlio e che «per tutta la loro vita porteranno il lutto fecondo della memoria educatrice di sacrificio e di abnegazione, che raccoglie e rinforza lo spirito». Non che le altre donne, specifica l’autore anonimo dell’articolo, che svolgevano opere di carità non meritassero un encomio anche loro. Ma l’ammirazione va per la maggior parte verso quelle donne che «vivranno compiendo il dovere duplice di fare da padre e da madre ai propri figli con forza virile, se sono mogli; di riversare, se madri, sui superstiti gli affetti di cui i morti non hanno più bisogno coltivando con amore e con dolore il fiore della memoria sulla fossa del caduto pel riscatto dei fratelli e per la salvezza e la grandezza della patria».


Mondine durante il raccolto
Poco meno di due settimane dopo, anche La Risaia decide di affrontare lo stesso tema, con un articolo in prima pagina sulle donne e, specialmente, su quelle il cui marito si trova al fronte;  il tono, tuttavia, è completamente diverso. L’autore del pezzo, dal titolo Altre Miserie, pone l’attenzione sulle difficoltà che le mogli dei richiamati devono sopportare. «Abbiamo casi di famiglie il cui capo, richiamato al servizio militare, faceva una sola famiglia coi vecchi genitori ai quali col proprio lavoro provvedeva col pane, sia pure misurato, un piccolo, ma sicuro asilo» (La Risaia 24 luglio ’15). Ora, con i mariti lontani, il giornale fa notare come sulle spalle delle mogli ricada l’onere di occuparsi di figli minorenni (e inabili al lavoro) e dei genitori «poiché è risaputo che lo stato sovvenziona soltanto quei genitori che oltre al raggiungere una certa età convivano con il figlio richiamato, ma non ammogliato». Una difficoltà che, secondo l’articolo, porterebbe molte donne a dover “sacrificare” le attenzioni ai vecchi genitori per darle ai figli piccole. Ma le “miserie” non sono solo queste. Ci sono donne che «non poterono prima per gravidanza avanzata, poi per il parto e l’allattamento del neonato fare la stagione della monda. E il marito è lontano, e il danno patito è grave e gravissimo apparirà quando si pensi che per i loro doveri di madri non potranno neanche fare la stagione del taglio». Il tutto mentre si stava avvicinando l’inverno, con le necessità economiche che questo porta, con l’affitto e il cibo da mangiare. L’articolo si chiude quindi con una richiesta verso il Governo: che questi problemi siano risolti il prima possibile, magari assegnando ai neonati e alle mogli una indennità in modo da risolvere questi problemi gravosi «poiché la natura e l’innocenza non sono colpevoli dei … peccati  degli uomini». 

Donne e bambini in una casa ambulante durante la Grande guerra
(fonte www.14-18.it)

mercoledì 2 settembre 2015

Avventure di un giovane turco nella Vercelli del 1915.

Con i post fin qui pubblicati abbiamo visto come l’inizio della guerra abbia influenzato la vita di tanti vercellesi. Mariti, fratelli e figli mandati al fronte, problemi lavorativi dovuti a mancanza di introiti o troppe spese. Ma la guerra nel vercellese non colpisce solamente la popolazione, ma anche alcuni “ospiti” stranieri; uno di essi è Rassim Ahmed, giovane ingegnere di 26 anni di origine straniera.

Il titolo della Sesia il 10 luglio
Nato nel 1889 a Tripoli di Siria da Mohamet Finzi e Fatima Zuhra, Rassim Ahmed aveva studiato presso la Scuola coloniale di Tunisi; lì era venuto a sapere, da due compagni indocinesi, della Stazione sperimentale di Risicoltura e delle Coltivazioni Irrigue di Vercelli. La Stazione era nata nel 1908 grazie alla volontà delle “Associazioni fra gli agricoltori di Novara e Vercelli e l’Associazione d’irrigazione dell’Agro all’Ovest del Sesia”. Il giovane Rassim Ahmed era riuscito a ottenere una borsa di studio dal suo governo e una lettera di raccomandazione dell’Istituto internazionale di agricoltura italiano per venire a studiare nel Vercellese. Quindi, era giunto a Vercelli per studiare la coltura del riso presso la Stazione dove, secondo quanto riporta La Sesia «si era conquistata la stima dei dirigenti della Stazione e la benevolenza di numerosi amici» (La Sesia 11 luglio ’15); ma con l’inizio della guerra tutto ciò finisce. Il Governo, infatti, emette un ordine che impone speciali obblighi a determinati individui ritenuti pericolosi alla sicurezza delle ferrovie. A Vercelli quattro persone sono colpite da questo provvedimento che impedisce loro di avvicinarsi a treni, ferrovie e stazioni senza il permesso delle autorità; tra questi anche Rassim che finisce per essere arrestato nella stazione ferroviaria poichè "colto in flagrante" mentre si stava recando in treno fuori Vercelli con alcuni colleghi. Processato per direttissima, il giovane ingegnere viene condannato a due giorni di reclusione.




L'attuale centro CRA-RIS
Riportando la notizia dell’arresto del ragazzo, La Sesia commenta in modo sferzante che nonostante il ragazzo sia «a modo, studioso, corretto (…) in tempo di guerra tutte queste buone qualità contano solo fino a un certo punto, ed i sospetti sono facili e facilmente giustificabili. Il giovane Rassim Ahmed ebbe il torto di dimenticare che se fra la Turchia e l’Italia lo stato di guerra non è dichiarato, è però latente e virtuale: che i nostri connazionali in Turchia sono vessati ed espulsi: che in Libia la ribellione degli indigeni è promossa e diretta da ufficiali turchi: ebbe il torto di non ricordare che se è vero che “gli amici dei nostri amici sono nostri amici non è meno vero anche il contrario»(La Sesia, 11 Luglio 1915). Il giornale, quindi, non si limita solamente a riportare la notizia dell’arresto, ma aggiunge anche un tono “patriottico” condannando le gesta di Rassim, reo secondo il giornale di non aver capito che «il dolce clima italiano – malgrado la civile ospitalità del nostro paese -  non era più troppo confacente per dei polmoni ottomani, ed avrebbe forse dovuto rimandare a dopo la pace i suoi studi sulla coltura del riso »(anche se questi ultimi, in realtà, erano iniziati prima della guerra).  Il tono usato è certamente pesante e forse lo stesso giornale se ne accorge e corregge il tiro due giorni dopo. Rassim, infatti, nonostante avesse dovuto essere rilasciato sabato 10 luglio ancora il martedì successivo risulta essere internato e a disposizione di ordini dall’alto, vista la sua condizione di straniero. La Sesia quindi abbandona il tono “patriottico” per uno più giornalistico chiedendo «senza voler discutere le disposizioni dell’autorità in momenti gravi e difficili come l’attuale» (La Sesia 13 luglio ’15) l’immediata scarcerazione perché «pare a noi poco umano prolungare oltre misura la privazione della libertà personale di un giovane che il suo errore – perché non può essere stato che un errore – ha già duramente scontato con due giorni di detenzione: due secoli per una persona onesta ed a modo, la quale non ha altro torto all'infuori di quello di essere straniero». Alla fine l’avventura di Rassim a Vercelli termina in modo brusco; il ragazzo, infatti, venne espulso e portato in Svizzera pochi giorni dopo.
La notizia dell'espatrio data dalla Sesia