lunedì 24 agosto 2015

Come combattere la crisi risicola! Una proposta del professor Novelli

il professor Novello Novelli
Ad appena quaranta giorni dall'inizio della guerra le prime difficoltà generate dal conflitto iniziano a manifestarsi in tutta la loro grandezza. A iniziare a traballare è la più importante attività del Vercellese, la risicoltura. Il primo a lanciare l’allarme, sulle colonne La Sesia del 2 luglio 1915, è il professor Novello Novelli, laureato in scienze agrarie ed esperto di risicoltura, che nel suo articolo Verso una grave crisi risicola, lancia un allarme chiedendo al governo di intervenire in difesa dei produttori di riso. Con l’inizio della guerra in Europa il Governo aveva deciso per un divieto dell’esportazione del riso provocando un ribasso del prodotto. Questo era quindi diventato l’unico cereale a mantenersi a un prezzo normale, mentre tutti gli altri avevano visti grandi rincari.  Il consumo interno del riso però, fa notare Novelli  «anche perché il Governo non ha creduto nelle presenti contingenze di integrare il divieto di esportazione con provvedimenti atti a favorirlo che pur vennero consigliati e richiesti, non ha assorbito, come già prevedevamo e sostenemmo, che ben poca cosa in più del consumo ordinario» (La Sesia 2 luglio ’15). Proprio per questo «le giacenze di risone e di riso che rimangono (…) sono veramente enormi; i prezzi, malgrado la guerra, tendono ora a diminuire» senza che questi possano essere in realtà venduti. Novelli stima che, all'inizio del nuovo periodo di raccolta, due milioni di quintali di riso della stagione precedente rimarranno non collocati. Riso che probabilmente rimarrà invenduto e che finirà per rovinarsi. «I produttori che non possono vendere perché non vi è richiesta, non possono liberare i magazzini pei nuovi prodotti, non possono realizzare il valore, quale esso si sia, della produzione passata, mentre le coltivazioni in corso esigono le più forti anticipazioni di spese».


Il ministro dell'Agricoltura
Giannetto Cavasola
Lo stesso problema viene evidenziato sullo stesso numero della Sesia dalla Confederazione delle Associazioni fra gli agricoltori della Lomellina, del Novarese e del Vercellese in una seduta del 30 giugno. Il comunicato pubblicato sul giornale ricorda come sulle regioni dove «la produzione risicola è la più importante, si affaccia la crisi più grave. Per il permanere del divieto di esportazione e per l’esiguo consumo interno verificatosi, le giacenze di risone e di riso che rimangono ancora, a poco più di due mesi dalla nuova raccolta, presso i produttori, negli stabilimenti di lavorazione, nei magazzini di custodia, sono veramente enormi». Sia per il professor Novello Novelli e per la Confederazione la soluzione era una sola. Nel 1914 la crisi era stata scongiurata permettendo una limitata esportazione del riso, il che aveva permesso di mettere in vendita le giacenze del raccolto, prima di essere nuovamente proibita in nome della neutralità. La richiesta del Professor Novelli e della Confederazione è la stessa: siccome con il divieto di esportazione «il Governo ha già conseguito lo scopo di mantenere il prezzo del riso all’interno uguale (…) sembra ai risicultori che a tutto vantaggio della ricchezza nazionale potrebbe essere riconcessa l’esportazione, sia pure per modesta quantità (…) onde anche il mercato possa aver un po’ di respiro». L’idea quindi è questa: nel 1914 per salvarci dalla crisi abbiamo lasciato da parte la neutralità e venduto all'esterno, perché non farlo ora che abbiamo abbandonato la neutralità e abbiamo degli alleati? «Poiché il nostro Paese ha ormai fortunatamente e felicemente fissato il suo posto – propone Novelli – nella conflagrazione europea e non si trova più fra l’incudine ed il martello della neutralità, perché ora non può essere anche in parte limitata, concessa la esportazione di questo prodotto che ci sovrabbonda, almeno verso i Paesi a lato dei quali combattiamo?». In fondo, spiega Novelli, i risicoltori sono ancora pronti a sacrificarsi per il Paese, ma «vorrebbero essere almeno sincerati che quelli che ora s’impongono ad essi per l’avvenire sono conosciuti e sono veramente necessari e utili al bene del Paese».

venerdì 21 agosto 2015

Chiusura anticipata delle scuole biellesi



Il Ministro dell’Istruzione decretò che Scuole Medie, Parificate e Magistrali, il 29 maggio concludessero l’anno scolastico e procedessero a scrutini ed esami. Anche gli studenti degli istituti professionali chiesero che le proprie lezioni terminassero il 31 maggio, poiché, per il “presente stato di guerra dell’Italia”, ritenevano “assurda, ingiusta e inutile la loro presenza alle lezioni”.
I motivi di tali richieste erano evidenti: non solo molti insegnanti in età di precetto militare erano stati chiamati al fronte, ma per molti studenti era divenuto necessario sostituire, nelle fabbriche e nei campi, i parenti partiti per la guerra. Le uniche lezioni garantite erano quelle delle scuole elementari, “questo anche per non lasciare senza guida sicura molti giovanetti, i genitori dei quali (gli uomini per dovere militare, le donne per necessità di lavoro) non possono sostituire neppure temporaneamente l’opera del maestro”. Le famiglie erano anzi invitate a non ritirare i bambini da scuola.

da il Biellese del 26-5-2015

lunedì 17 agosto 2015

Censuriamo la Censura!

Con l’avanzare della guerra il nuovo governo di unità nazionale inizia a promulgare le prime legislazioni per la censura delle notizie e soprattutto contro «coloro che propalano notizie diverse da quelle ufficiali sulla difesa militare ed operazioni di guerra e contro coloro che danno false notizie sull'ordine pubblico, sulla economia nazionale e su fatti di pubblico interesse» (La Sesia, 25 giugno ’15). Il decreto promulgato dal governo prevede la reclusione fino a sei mesi e una multa che varia dalle cento alle mille lire per coloro che comunicano notizie diverse da quelle ufficiali rilasciate dal governo. Se poi il giudice ravvisa in questo tentativo di diffondere “false notizie” una volontà di turbare la pubblica tranquillità e di danneggiare i pubblici interessi, allora la pena poteva salire fino a due anni e fino a tremila lire di multa.
il titolo della Sesia sulla censura

Con un articolo di commento al testo del decreto, La Sesia decide di appoggiare sin da subito la decisione del governo, affermando che «in momenti difficilissimi e delicati come quello che attraversiamo (…) grandi doveri incombono su tutti. Doverosa è la cura di chi regge le sorti del paesi di impedire, con la propalazione di notizie false, la depressione dello spirito pubblico (…). Doveroso è per i cittadini obbedire (…).  È una provvida educazione civile e patriottica quella che si sta compiendo e a cui tutti dobbiamo concorrere: incominciando da noi della stampa. E per parte nostra, consci delle responsabilità, dell’ora come fummo saremo sempre ossequienti alle disposizioni della censura». Concetti che probabilmente avrebbero fatto tremare di indignazione giornalisti come Joseph Pulitzer, ma che in tempo di guerra erano e sono tuttora adottati in molti Paesi.

Il duca degli Abruzzi Luigi Amedeo di Savoia
La Sesia, quindi, sceglie di appoggiare la censura e di farsi voce di quelle che saranno le “notizie ufficiali” provenienti dal governo, ma non può fare a meno di criticare, qualche giorno dopo, il fatto che la censura proibisca che sia turbata «La fiducia nel successo finale della nostra azione diplomatica e militare» (La Sesia 27 giugno’15). Come può, infatti, la censura pensare che sia possibile turbare la fiducia del popolo italiano, scrive La Sesia con un tono talmente altisonante da diventare quasi involontariamente ironica. Nell'articolo Antonio Salandra e Sydney Sonnino diventano uomini “prudenti e audaci" che hanno «saputo rialzare il prestigio dell’Italia in faccia al mondo», il Re Vittorio Emanuele III diventa il Re soldato che «si aggira incurante di pericoli e di disagi, sul fronte combattuto, vivendo la vita dei suoi soldati, dividendone le sorti». L’esercito, invece, riscuote grande fiducia per i suoi recenti successi nella guerra di Libia e dal comando di generali come Luigi Cadorna e il Duca degli Abruzzi Luigi Amedeo di Savoia «il quale ha temprato l’anima e la fibra nelle prove più dure e più severe, che conobbe nelle vicinanze del Polo, i ghiacciai dell’Alaska e dell’Himalaya». Con queste persone alla guida dell’Italia, si chiede la Sesia, come si può dubitare? Quindi, meglio in questo caso che a essere censurata sia la censura stessa.


BONUS

Giovanni Tamiotti, il più vecchio
volontario d'Italia
Il 25 giugno su La Sesia, esce la foto di Giovanni Tamiotti, ottantaquattrenne valsesiano vice presidente della Società dei Veterani, “il più vecchio volontario d’Italia”. Nato nel 1831, si era arruolato nella brigata piemontese “Aosta la veja”a soli 17 anni nel 1848 contro l’Austria. «Ora – riporta il giornale – si è arruolato nuovamente per combattere l’ultima campagna di redenzione contro lo stesso nemico (…). Camminatore instancabile, quando si recò a Novara per arruolarsi fece di notte parecchi chilometri a piedi per prendere il primo treno a Varallo! È partito pel fronte, caporale in un reggimento di fanteria» (La Sesia 25 giugno ’15).

giovedì 13 agosto 2015

Volontari nell'esercito e nella CRI: la lettera di Salandra e gli aiuti.



Popolazione in armi e nella CRI
Fin dai primi giorni di guerra giunsero alla Croce Rossa numerose offerte di aiuto da parte di donne e uomini che volevano contribuire allo sforzo bellico, pur non trovandosi al fronte.
L’“arruolamento” come volontari della Croce Rossa era, però, possibile solo per coloro che avevano effettuato un corso di medicazione e disinfezione con relativo diploma, corso che a Biella non poté essere tenuto nel periodo prebellico. Ciò rese necessario rimandare a tempo indeterminato l’effettiva collaborazione della popolazione civile con la CRI.
Si comunicava, inoltre, che le autorità militari avevano individuato immediatamente i Santuari di Oropa, Graglia e San Giovanni d’Andorno, unitamente ad alcuni edifici cittadini, come possibili ricoveri e futuri ospedali militari, cosa da lì a poco avverrà per il seminario vescovile di Biella (oggetto di un futuro nostro articolo).
Naturalmente, oltre ad offrire strutture adeguate, Biella auspicava di poter offrire un corpo di infermieri, anche per non trovarsi “in una deplorevole inferiorità di fronte ad altre regioni”.
È davvero rimarchevole come l’intera popolazione civile si sentisse spinta, fin dai primi giorni di guerra, ad aiutare il Paese coinvolto nello sforzo bellico, in ogni modo possibile, anche con intenti di solidarietà e non solo con l’effettiva partecipazione alle azioni militari.
La lettera di Salandra
Proprio il gran numero di volontari che si riversarono nei centri di arruolamento spinse il 29 maggio il Presidente del Consiglio Salandra a scrivere una lettera indirizzata alla popolazione tutta, la quale affermava che al momento non erano richieste, e auspicava non fossero necessarie neanche in futuro, nuove leve supplementari a quelle di legge.
Salandra non si limitò a parlare della mobilitazione militare, ma incluse nella sua lettera anche l’assistenza alle famiglie dei soldati, invitando alla formazione di Comitati locali che provvedessero all’aiuto dei bisognosi, ricordando che “NESSUN CITTADINO CHE PUO’ DARE QUALCHE SOCCORSO DI DENARO, DI OGGETTI, DI OPERA, VI SI DEVE RIFIUTARE”.
Aiuti finanziari e materiali
Proprio in quest’ottica vanno visti i numerosi aiuti che gli industriali biellesi elargirono alle famiglie dei propri operai richiamati alle armi; analoga manifestazione di solidarietà da parte di donne e uomini, che non avrebbero avuto un diretto coinvolgimento bellico, fu la spontanea offerta della propria opera come crocerossine o infermieri.
Parallelamente, in quasi tutti i comuni si costituirono Comitati Pro famiglie bisognose dei richiamati per portare aiuti alle famiglie il cui “capo di casa” era sotto le armi, non solamente raccogliendo denaro, ma provvedendo anche alla fornitura di biancheria, indumenti, ecc. A queste spontanee donazioni si aggiunsero in alcuni casi anche azioni di aiuto intraprese dalle stesse amministrazioni comunali.

da il Biellese del 9 giugno 2015

lunedì 10 agosto 2015

Giornali e polemiche. La Sesia e La Risaia contro il giornale L'Unione

Durante la metà di giugno sfocia una strana guerra tutta interna alla stampa locale Vercellese. Dopo i grandi appelli alla concordia di tutti in nome dell’unità nazionale, nei primi giorni di guerra nascono diverse polemiche tra alcune testate giornalistiche che rappresentano i principali schieramenti politici vercellesi. Polemiche naturalmente erano già nate tra il giornale socialista La Risaia e il liberale La Sesia. Ma entrambe le testate, come già capitato una settimana prima con la questione dei lavoratori nelle risaie, si trovarono a combattere unite, questa volta attaccando polemicamente un terzo giornale: la testata di ispirazione cattolica L’Unione.

Benedetto XV, con la sua riforma
istituì la Giunta direttiva di Azione Cattolica
La Risaia è la prima a polemizzare con la testata cattolica il 12 giugno. La polemica nasce da una richiesta fatta dalla Giunta dell’Azione Cattolica e poi sostenuta  da L’Unione al governo affinché «in base al decreto sulla censura della stampa, che “si proceda contro le pubbliche bestemmie e negazioni della divinità”» (La Risaia 12 giugno ’15). Una espansione della censura pubblica che La Risaia trova del tutto inutile oltre che retrograda e pericolosa: «Noi siamo rispettosi di tutte le idee, di tutte le fedi e ci inchiniamo davanti a credenti e miscredenti (…) Diavolo! Le “pubbliche bestemmie” non ci sono mai piaciute: neanche le “bestemmie in privato” ci vanno a fagiolo (…). Approfittare dello eccezionale periodo attuale per chiedere procedimenti contro chi non la pensa a modo dei clericali ci pare un po’ troppo davvero!». Non da ultimo, La Risaia fa notare come migliaia di persone si siano dichiarati atei e non professanti alcuna religione «e tutti costoro si dovrebbero sottoporre a procedimenti? Si è richiesta l’unione di tutti i partiti, di tutte le fedi, e questa unione si è avuta. Perché scalzarla con inopportune richieste, con intolleranze da medioevo?».


Critiche simili e lo stesso appello a conservare l’unità viene mosso il giorno successivo da La Sesia sempre a L’Unione. A causare la polemica è un articolo de L’Unione in cui si riconosceva la forza morale dei socialisti, passati dal pacifismo all'appoggio alla guerra, affermando che «resterebbe sempre vero, che le due grandi forze, materiale e morale, per questa guerra furono da cattolici e socialisti» (La Sesia 20 giugno ’15). La Sesia risponde all'articolo difendendo il patriottismo e il contributo dato fino a quel momento da liberali come Salandra o Sonnino e alla «democrazia italiana, ribellatasi ad un insano tenta
Don Luigi Sturzo, segretario della
giunta ACI
tivo, il quale avrebbe compromesso la dignità nazionale, e che fu sventato prima dell’adesione dei cattolici e dei socialisti. Utile, prezioso, il vostro aiuto: lo abbiamo detto noi, primi. Ma senza la ferma volontà dei liberali costituzionali e democratici, la santa causa della redenzione delle terre soggette all’Austria sarebbe rinviata 
all'infinito (…) Finiamola con tutto ciò che può parere dissenso, e mostriamoci, tutti, operosi in quello che può, invece, che deve unirci in una azione di concordia e di amore».

mercoledì 5 agosto 2015

Biella in guerra. Sussidi e stanziamenti delle aziende tessili biellesi



Il 25 maggio, al secondo giorno di guerra, si registrano i primi movimenti di solidarietà delle istituzioni biellesi. In un comunicato la Giunta comunale di Biella richiama i cittadini alla concordia e alla «cooperazione morale e finanziaria di tutti pei provvedimenti necessari allo scopo di alleviare gli inevitabili dolori della guerra». La Giunta ha già deciso di stanziare in bilancio 10mila lire «Per i bisogni creati dallo stato di guerra».
L’assessore Giovanni Viola descrive al consiglio i provvedimenti presi dalla Giunta comunale: per «garantire i nostri soldati biellesi che si pensa e si provvede convenientemente alle loro famiglie – in modo che – […] essi non abbiano mai a voltarsi indietro, col rammarico nel cuore, ma solo per prendere maggior forza ad andare sempre avanti al grido di Viva l’Italia». Viola sottolinea come la somma stanziata è sicuramente insufficiente allo scopo preposto, ma le disagiate condizioni finanziarie in cui versa il Comune non permettono altro. Si fa, quindi, un appello ai cittadini più abbienti affinchè concorrano «con adeguati sacrifizi finanziari e chi più ha e più guadagna, più deve dare; ed il concorso deve essere spontaneo, largo, generoso».
Già la mattina del 24 maggio la Lega Industriale Biellese si riunisce per «Stabilire le norme per la distribuzione dei sussidi ai richiamati». Le ditte biellesi, dopo aver scartato la possibilità di dare agli operai richiamati «un sussidio pari a quello governativo», deliberano di «dare un tanto che, unito al sussidio governativo, s’avvicini – nel caso che non possa uguagliarlo – allo stipendio che l’operaio aveva lavorando».
La ditta Pietro Serralunga dichiarò che a tutti sarebbe stato garantito il mantenimento del posto fino alla fine della guerra. Anche la Banca Commerciale Italiana prese i primi provvedimenti, stabilendo di corrispondere a tutti i suoi richiamati l’intero stipendio per tutto l’anno corrente «con riserva di ulteriori provvedimenti se la guerra continuasse». Nei giorni successivi si hanno notizie di Guido Rota, che decide di elargire mille lire al mese per il resto della guerra, e la Ditta Rivetti Giuseppe e Figli, che aveva appena preso la decisione di stanziare cinquantamila lire.
In mezzo a tutta questa solidarietà ci fu spazio anche per piccola una polemica tra industriali e giornali. Il 28 maggio la Lega smentì le voci che correvano di una delibera della Lega stessa che avrebbe stabilito che le ditte rinunciassero a parte dei compensi provenienti dalle commesse statali per devolverli alle famiglie dei richiamati. «Le cose non stanno così. – afferma la Lega Industriale che spiega – Le prossime ordinazioni pare che il Governo le voglia dare direttamente agli industriali, superando i mediatori; e qualcuno […] ha accennato il proposito di assegnare il maggior profitto che si avrebbe con l’ordinazione diretta alle famiglie dei richiamati. Ci auguriamo che questo proposito, manifestato da qualche industriale, sia il proposito di tutti quegli industriali che assumeranno le nuove ordinazioni». 

I primi sussidi delle aziende tessili biellesi
A una settimana dalla dichiarazione le Leghe prendono decisioni sui sussidi. L’associazione industriale della Valle Strona stanzia dal primo giugno i sussidi: metà stipendio agli impiegati (mensili); L.1,50 al giorno per gli operai con moglie; L.1 per operai celibi. La Lega industriale della Valle del Ponzone delibera invece di «dare un sussidio alle famiglie dei militari richiamati nel modo con le forze che ogni singola Ditta può disporre». La Ditta Loro Totino di Pray decide di corrispondere la metà del salario agli operai fissi, agli impiegati e ai capisala almeno fino al 31 dicembre. Il Maglificio A. Boglietti, più specifico, stanzia invece 0,50 lire al giorno per orfani e celibi; 0,70 lire al giorno per celibi con un solo genitore convivente inabile e di oltre 60 anni: 1 lira a chi ha moglie più 0,40 centesimi per ogni bambino. Simile è il provvedimento dei Fratelli Piacenza di Ponzone, con la sola differenza delle 1,20 lire stanziate per i celibi con genitori inabili. 

Da il Biellese del 26 maggio 2015

lunedì 3 agosto 2015

Dare ancora, di più, sempre!

Il 19 giugno La Risaia apre il suo giornale con un articolo polemico dal titolo Il patriottismo di certi latifondisti. L'articolo, partendo dalle accuse mosse dai socialisti di Tronzano ai proprietari della loro zona, lamenta della «larghezza non eccessiva colla quale troppi proprietari concorrono alla sottoscrizione pro-richiamati (…) vi sono degli egoisti che di nulla voglionsi curare che non sia il loro personale interesse (…) e poiché da noi, nel Vercellese, la proprietà terriera ha ricavato e ricava lucri soddisfacenti, è giusto, è onesto, è patriottico che su di essa ricadano i pesi finanziari» (La Risaia 19 giugno ’15). Il giornale socialista però non si ferma qui e passa alla fase delle richieste affermando la necessità di una legge che disciplini l’ entità di questi contributi: «non si potrebbe imporre una tassa di guerra di una lira alla giornata al proprietario ed una lira alla giornata all’affittavolo?». Il giornale muove quindi un appello al governo perché prenda questo provvedimento e un appello ai consiglieri socialisti perché spingano per ottenere l'approvazione di questa richiesta.

Mondine al lavoro nelle risaie
 La questione lanciata dalla Risaia viene ripresa tre giorni dopo su La Sesia. Il giornale vercellese, infatti, pubblica in prima pagina una lettera che risponde alla polemica mossa dai socialisti di Tronzano tentando di difendere i proprietari terrieri vercellesi. Nella lettera si afferma che fino a quel momento il vuoto lasciato nei campi dai soldati richiamati aveva favorito «l’occupazione vantaggiosa delle persone rimaste – e che quindi – gli effetti della guerra frattanto, almeno sin ora, aggravano meno la situazione economica e patrimoniale delle popolazioni campestri che la situazione economica e patrimoniale degli agricoltori. (…) Gli agricoltori sono esclusi dai benefici che nelle epoche di crisi vengono accordati agli industriali; i risicultori si vedono vietata la esportazione della grande quantità di riso eccedente e persino dei più inutili sottoprodotti» (La Sesia 22 giugno ’15) il tutto peggiorato dal fatto che i Comitati istituti nei vari comuni sono a maggioranza socialisti, parte politica non certo favorevole agli interessi degli agricoltori. La sintesi della difesa è dunque questa: gli agricoltori si stanno già sforzando facendo molto per la popolazione, soprattutto sulle situazioni di cui sono a conoscenza, e molte delle polemiche nascono da provvedimenti che più che patriottici sono più politici.

Soldati al fronte
 Il botta e risposta tra La Risaia e l'autore della lettera non finisce qui. Dopo aver dato spazio alla lettera, infatti, anche La Sesia decide di mettere per iscritto il suo pensiero sulla questione. Con un editoriale che segue il testo della lettera il giornale afferma che «l’impressione nostra è che, non Vercelli solamente, non solo il circondario ma il Piemonte in genere non ha risposto con lo slancio che si aveva diritto di attendere». Certo, sottolinea il giornale, Vercelli è stanca e ha già dato tanto ma questa non può essere una ragione per fermarsi: «oggi non vi possono essere limiti; si deve dare ancora, si deve dare di più, si deve dare sempre». Questo non è solamente un impegno patriottico, ma serve soprattutto a far sapere ai soldati e richiamati che le loro famiglie sono al sicuro, in modo che essi «non abbiano preoccupazioni materiali pei loro cari. Essi devono sapere, che i loro concittadini garantiscono fraternamente i mezzi di sussistenza per le loro madri, le loro spose, i loro bambini».