il professor Novello Novelli |
Ad appena quaranta giorni dall'inizio della guerra le prime difficoltà generate dal conflitto iniziano a manifestarsi
in tutta la loro grandezza. A iniziare a traballare è la più importante
attività del Vercellese, la risicoltura. Il primo a lanciare l’allarme, sulle
colonne La Sesia del 2 luglio 1915, è
il professor Novello Novelli, laureato in scienze agrarie ed esperto di
risicoltura, che nel suo articolo Verso
una grave crisi risicola, lancia un allarme chiedendo al governo di intervenire
in difesa dei produttori di riso. Con l’inizio della guerra in Europa il Governo aveva deciso per un divieto dell’esportazione del riso provocando un
ribasso del prodotto. Questo era quindi diventato l’unico cereale a mantenersi a un prezzo normale, mentre tutti
gli altri avevano visti grandi rincari. Il consumo interno del riso però, fa notare Novelli «anche perché il Governo non ha creduto nelle presenti contingenze di integrare
il divieto di esportazione con provvedimenti atti a favorirlo che pur vennero
consigliati e richiesti, non ha assorbito, come già prevedevamo e sostenemmo,
che ben poca cosa in più del consumo ordinario» (La Sesia 2 luglio ’15). Proprio per questo «le giacenze di risone e
di riso che rimangono (…) sono veramente enormi; i prezzi, malgrado la guerra,
tendono ora a diminuire» senza che questi possano essere in realtà venduti.
Novelli stima che, all'inizio del nuovo periodo di raccolta, due milioni di
quintali di riso della stagione precedente rimarranno non collocati. Riso che
probabilmente rimarrà invenduto e che finirà per rovinarsi. «I produttori che
non possono vendere perché non vi è richiesta, non possono liberare i magazzini
pei nuovi prodotti, non possono realizzare il valore, quale esso si sia, della
produzione passata, mentre le coltivazioni in corso esigono le più forti
anticipazioni di spese».
Il ministro dell'Agricoltura Giannetto Cavasola |
Lo stesso problema viene evidenziato
sullo stesso numero della Sesia dalla
Confederazione delle Associazioni fra gli agricoltori della Lomellina, del
Novarese e del Vercellese in una seduta del 30 giugno. Il comunicato pubblicato
sul giornale ricorda come sulle regioni dove «la produzione risicola è la più
importante, si affaccia la crisi più grave. Per il permanere del divieto di
esportazione e per l’esiguo consumo interno verificatosi, le giacenze di risone
e di riso che rimangono ancora, a poco più di due mesi dalla nuova raccolta, presso
i produttori, negli stabilimenti di lavorazione, nei magazzini di custodia,
sono veramente enormi». Sia per il professor Novello Novelli e per la
Confederazione la soluzione era una sola. Nel 1914 la crisi era stata
scongiurata permettendo una limitata esportazione del riso, il che aveva
permesso di mettere in vendita le giacenze del raccolto, prima di essere
nuovamente proibita in nome della neutralità. La richiesta del Professor Novelli
e della Confederazione è la stessa: siccome con il divieto di esportazione
«il Governo ha già conseguito lo scopo di mantenere il prezzo del riso
all’interno uguale (…) sembra ai risicultori che a tutto vantaggio della
ricchezza nazionale potrebbe essere riconcessa l’esportazione, sia pure per
modesta quantità (…) onde anche il mercato possa aver un po’ di respiro».
L’idea quindi è questa: nel 1914 per salvarci dalla crisi abbiamo lasciato da
parte la neutralità e venduto all'esterno, perché non farlo ora che abbiamo
abbandonato la neutralità e abbiamo degli alleati? «Poiché il nostro Paese ha
ormai fortunatamente e felicemente fissato il suo posto – propone Novelli –
nella conflagrazione europea e non si trova più fra l’incudine ed il martello
della neutralità, perché ora non può essere anche in parte limitata, concessa
la esportazione di questo prodotto che ci sovrabbonda, almeno verso i Paesi a
lato dei quali combattiamo?». In fondo, spiega Novelli, i risicoltori sono
ancora pronti a sacrificarsi per il Paese, ma «vorrebbero essere almeno
sincerati che quelli che ora s’impongono ad essi per l’avvenire sono conosciuti
e sono veramente necessari e utili al bene del Paese».