mercoledì 28 ottobre 2015

Vercelli combatte per il suo Convitto!

Il Convitto Dal Pozzo in una foto d'epoca
(fonte www.roberto-crosio.net)
Pochi giorni dopo l’inizio della guerra Vercelli era già stata chiamata a compiere i primi sacrifici. Oltre ai numerosi comitati, nati con l’idea di aiutare famiglie e soldati attraverso diverse iniziative benefiche e assistenziali, la città era diventata anche sede di un importante ospedale militare. Questo, diviso in tre sezioni, era ospitato all’interno di alcuni edifici scolastici della città: l’Istituto Tecnico “Camillo Cavour”; le scuole elementari “Giuseppe Mazzini” e del Collegio “Dal Pozzo”. La città quindi, come ricorda La Sesia alla fine di agosto si è già dovuta privare di «due splendidi edifici comunali dell’Istituto tecnico Cavour e delle scuole elementari Mazzini adibiti ad Ospedali militari e nessuno rammaricherà che i nostri valorosi soldati reduci del fronte feriti o malati permangano anche durante l’inverno in quelle magnifiche dimore, fornite di tutte le comodità e di tutti gli agi occorrenti» (La Sesia, 31 agosto ’15). Questi non sono neanche gli unici locali che la città di Vercelli ha fornito: «Altri locali comunali, scuole, teatro, caserme, il lazzaretto di Billiemme furono messi a disposizione dell’autorità militare per ricoverarvi reclute e richiamati. Il Seminario accolse nelle sue belle e vaste aule i profughi qui mandati, dalle terre redente, per le esigenze della guerra ed anche per toglierli ai pericoli delle rappresaglie nemiche».

Istituto Tecnico "Camillo Cavour" (fonte www.annuncivercelli.it)
Ma nonostante il patriottismo di Vercelli, La Sesia  sottolinea come in qualche caso questa situazione finirà per danneggiare la città nonostante si possano trovare soluzioni che evitino «danni gravi, in parte parte irreparabili, che potrebbero colpire la vita economica ed intellettuale della città». Il problema riguarda il Convitto Dal Pozzo e i locali del R. Liceo-Ginnasio e dell’Istituto tecnico. Questi sono in quei giorni occupati dall'ospedale che costringerebbe le due scuole a «rimaner chiusi: ed il Dal Pozzo dovrebbe rinunciare ad accogliere i 120  giovani che ospita annualmente» con tutti i danni che porterebbe ad economia e istruzione in Vercelli. Per questo La Sesia muove un appello al Governo e alle autorità militari affinché si ponga una soluzione a questa situazione riaprendo così le due scuole. In questo modo si potranno «evitare i danni della chiusura del Convitto e delle scuole secondarie – e così Vercelli (…) – si accingerà con nuova lena e con rinnovato entusiasmo ad assecondare il patrio Governo nella sua azione vigorosa e saggia».


il Sindaco Piero Lucca
L’appello viene raccolto dalle autorità e nel numero del 3 settembre La Sesia può affermare in prima pagina che “I due grandi interessi sono stati conciliati”. Già martedì mattina il Sindaco e Senatore Piero Lucca aveva iniziato a muoversi per risolvere la situazione, ottenendo la promessa della riapertura delle sedi scolastiche. Vista risolversi la situazione in modo soddisfacente, La  Sesia si lancia in un’altra tirata patriottica per sottolineare la migliore situazione italiana rispetto a quella degli altri paesi in guerra. «Una delle belle caratteristiche della guerra attuale – spiega La Sesia – è appunto questa: che la vita normale del paese continua indisturbata» (La Sesia, 3 settembre ’15). Certo, fenomeni come la disoccupazione, il razionamento del cibo sono inevitabili. «Ma in Italia – grazie all'avvedutezza dei nostri governanti e capi dell’esercito; grazie allo slancio irresistibile dei nostri valorosi soldati, siamo riusciti, contrariamente a quanto avvenuto in Francia, nel Belgio, in Russia, in Serbia, a portare ed a mantenere la guerra in casa altrui (…) È avvenuto, quindi, che la vita del paese continua con il suo ritmo normale: i servizi pubblici funzionano, i lavori agricoli non sono turbati, nei limiti della crisi la vita industriale va svolgendosi (…) e le scuole saranno riaperte all'epoca consueta». Tutto quindi fila liscio a pochi mesi dall’inizio della guerra, a parte naturalmente i piccoli problemi della guerra.  

martedì 20 ottobre 2015

Umberto Torrione, il primo caduto biellese.



Giunse notizia il 15 giugno del primo caduto biellese. Il suo nome era Umberto Torrione e a darne notizia alla famiglia fu una lettera proveniente dal 4° Reggimento Alpini presso cui il soldato era di stanza. L’uomo, classe 1895, morì a causa di una scheggia di shrapnel ricevuta durante un sanguinoso assalto alla baionetta sulla cima del Monte Nero. La scheggia ferì il soldato senza ucciderlo subito: gli ultimi pensieri del Torrione furono per la famiglia lontana.
Nei giorni successivi arrivarono altre notizie di caduti biellesi.
Comoli Giovanni di Mongrando, classe 1888, di professione era muratore. Già soldato nella Guerra di Libia, era in forze nel 4° Reggimento Alpini e morì a causa delle ferite alla testa causate da proiettili d’artiglieria.
Bonino Giacomo di Biella Vandorno (ma residente a Torino), classe 1894, “bel giovanotto tarchiato” di professione cementatore. Anch’egli morì a causa delle ferite riportate in battaglia.
Maiocchi Pietro di Biella fu vittima, come tutto il 4° Reggimento Alpini, dell’offensiva austriaca sul Monte Nero. Morì per una ferita al capo provocata da una scheggia, dopo vani tentativi di curarlo in un ospedale da campo.
Giachetti Giuseppe Paolo di Tollegno, classe 1889, faceva il decoratore a Milano, dove risiedeva. Anch’egli alpino, fu ferito ad una gamba combattendo a Canale e morì qualche giorno dopo, nonostante le cure apportate nell’ospedale militare.
Gilardino Raffaele di Cossila, Sottotenente degli Alpini. Prima di andare al fronte egli aveva scritto ad un amico forti parole che vogliamo qui riportare: “Per me quindi è facile immaginare che come ufficiale e come alpino avrò grandi probabilità di andare, sia pur gloriosamente, nel novero dei più. M’auguro che i tuoi auguri si avverino e che presto giunga il tempo della pace, dopo però il compimento delle aspirazioni nazionali ed una Italia più grande”.
La consapevolezza del rischio della guerra è mista allo slancio nazionalistico, che caratterizza quasi tutti gli articoli dell’epoca. Era, infatti, scopo della stampa non solo informare dell’andamento della guerra, con la pubblicazione dei bollettini ufficiali e con le notizie relative ai caduti e alle situazioni locali, ma anche fare da sostegno morale per la popolazione non in armi che, forse più dei cari al fronte, poteva nutrire dubbi sulle motivazioni generali del conflitto.
In quest’ottica vanno viste le lettere di alcuni soldati che furono pubblicate nei giorni successivi, che rassicurano non sono sulle condizioni di salute e di vita, ma che inneggiano all’Italia, alla conquista e alle battaglie vinte. Riportiamo qualche stralcio di queste pittoresche testimonianze: “una comitiva di soldati che si trovano al fronte, e che combattono per la grandezza dell’Italia       m’incaricano di porgere a lei una saluto sincero ed affettuoso”; “Come descrivere le accoglienze di queste buone popolazioni? Sono tutti pazzi di gioia”; “mi sono confessato e comunicato e mi sento forte e unito al Dio delle vittorie.”



Riportiamo integralmente l’interessante lettera che Pierino Fasanotti, caporalmaggiore del 12° Bersaglieri, scrisse alla madre il 17-6-1915. Dalle sue parole capiamo come le condizioni fossero precarie e povere anche nell’esercito nemico.
“La vittoria del Montenero ha del favoloso per le condizioni avute. Il tempo sempre contrario: neve, acqua o nebbia: montagna altissima coperta da trincee da conquistare e forza minore, come risulta dai morti, feriti e prigionieri fatti….Austriaci, proprio, tolti gli ufficiali, non ce ne sono! Io che li ho visti….sono tutti bosniaci, galiziani, ed ungheresi; tutti affamati e mal messi che prendono con gioia qualche nostro pezzo vecchio di pane che noi buttiamo via addirittura. Ve ne sono di tutte le età, dai 17 ai 40 anni; sono sul fronte da una quindicina di giorni reduci dai Carpazi e dicono che i bersaglieri tirare molto bene nella testa, mentre che alpini molto forti prenderli pel collo e gettarli giù. È un italiano poco corretto ma molto espressivo….Tutto sommato, io mi trovo bene. Non ci resta che andare a Vienna per vedere la barba di Francesco Giuseppe”.

da il Biellese del 4 agosto 2015

sabato 17 ottobre 2015

Nasce il comitato d'assistenza circondariale di Biella



Fondazione del Comitato Circondariale d’Assistenza Civile
Il Comitato Circondariale d’Assistenza Civile, costituitosi come Comunale già all’inizio della guerra, si riunì ai primi di giugno per sottolineare come fosse necessario abbandonare un’ottica localista in favore della coesione territoriale, “per diventare tutti italiani”, e per stabilire alcune azioni da intraprendere per dare aiuto alle famiglie dei richiamati. Oltre alla consueta raccolta di fondi, secondo l’idea che “le città ed i paesi industriali, che meno danno nel sacrificio delle persone, più debbono dare nel sacrificio finanziario”, il Comitato produsse anche un telegramma spedito al Presidente del Consiglio dei Ministri Salandra dal seguente testo:
Presidente ministri – Roma
Comitato Biellese Preparazione fattosi oggi circondariale in assemblea. Sindaci Sodalizi Deputati Autorità tutte Circondario per estendere sua azione  assistenza civile durante guerra invia Vostra Eccellenza, arra compimento unità nazionale, ossequi cordiali esprimendo sicura fede trionfo glorioso armi italiane.”
A questo telegramma Salandra rispose: “Mi compiaccio vivamente della patriottica iniziativa”.
Insieme ai temi patriottici vengono espressi concetti che toccano più da vicino la vita quotidiana. Il presidente del Comitato, l’avv. Quaglino, in un’assemblea aperta alla stampa si dilungò sulla necessità di superare il campanilismo e le barriere sociali; incitava tutti a contribuire secondo le proprie possibilità dicendo che tanto gli operai quanto i ricchi sono tenuti a fare la propria parte, sottolineando che “quando la ricchezza non avesse valore sociale, bisognerebbe abolirla”. Parole forti che furono totalmente condivise dal Biellese, che concordava dicendo “che la ricchezza, specialmente nella storica contingenza che attraversiamo, deve avere una funzione sociale. Anche la Camera del Lavoro propose che tutti gli operai del circondario devolvessero 25 centesimi la settimana in favore delle famiglie bisognose dei richiamati.
Che si trattasse di carità cristiana o di solidarietà socialista il tema univa l’intera nazione.
Offerta di ospitalità per i feriti
Nell’ottica dell’offerta alla patria, come molti notabili e industriali, anche il Vescovo di Biella, Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Serafino, offrì al Comitato la sua villa di Cossato per ospitare i feriti in guerra con la seguente lettera:
“Mi pregio significarle che per la presente metto a disposizione dello spettabile «Comitato Circondariale di preparazione e assistenza» di Biella, il mio palazzo di villeggiatura in Cossato, affinché sia subito adibito quale luogo di cura e convalescenza per i nostri diletti soldati feriti in battaglia”.
Allo stesso scopo i fratelli Rivetti donarono Villa Clelia, una loro proprietà in località Favaro.
Assistenza spirituale dei feriti
La società “Dante Alighieri” di Biella consigliava di non preoccuparsi esclusivamente dell’accoglienza e dell’assistenza sanitaria dei soldati feriti, ma poneva l’accento sulla necessità di fornire un sollievo ai soldati inviati nei luoghi di cura.
L’azione della “Dante Alighieri” si concretizzò nella fornitura di libri, opuscoli e riviste e nell’invito alla popolazione di donare periodicamente pubblicazioni di vario genere, possibilmente non tomi impegnativi, ma piuttosto riviste illustrate.
Sorge fin da subito l’idea che stare al fronte potesse causare qualche scompenso emotivo nei soldati e che quindi fosse necessaria un’assistenza particolare, per quanto al momento si pensi solamente alla necessità di distrarre i feriti dal proprio dolore fisico e dalla convalescenza, piuttosto che occuparsi di coloro che soffersero di stress post-traumatico. È altresì interessante notare come l’indicazione di fornire riviste illustrate sia un velato riferimento all’ancora diffuso analfabetismo che caratterizzava l’Italia dell’epoca.

Da il Biellese del 7 luglio 2015

lunedì 12 ottobre 2015

Le richieste alle Ferrovie di Stato: "Dateci più vagoni!"

Ferrovie al fronte (fonte www.14-18.it)
Mentre si avvicina il quarto mese di guerra, i problemi del “fronte interno” vercellese si fanno sempre più pressanti. Il Vercellese, nei primi mesi di guerra, aveva già dovuto affrontare problemi legati alla chiusura delle esportazioni che impedivano di poter smerciare le derrate del riso e i lunghi bracci di ferro per la regolamentazione dei contratti di schiavenza (proprio a fine agosto giunge un decreto luogotenenziale che permette a coloni, affitta voli e salariati fissi di poter prorogare i contratti di lavoro che causa un acceso dibattito sugli oneri di lavoratori e datori di lavoro), influenzati dalla partenza degli uomini verso il fronte. Ora un nuovo problema si presenta ponendo un ulteriore ostacolo nei campi già pericolanti dell’industria e del commercio.

Trasporto rifornimenti (fonte www.14-18.it)
I problemi riguardano la gestione dei treni fatta dalle Ferrovie di Stato e, più di preciso, della mancanza di vagoni che impongono un freno alle esportazioni. Le Ferrovie di Stato erano state protagoniste dell’iniziale mobilitazione dell’esercito e del trasporto delle truppe verso il fronte, e in questo compito, conferma anche La Sesia, «le Ferrovie di Stato si sono veramente fatto onore» (La Sesia, 29 agosto ’15). Ma ormai la mobilitazione delle truppe si è conclusa e quindi l’amministrazione ferroviaria ora «dovrebbe poter provvedere alle ridotte esigenze dell’esercito ed a quelle- che sono pure legittime, trattandosi degli interessi economici del paese, trattandosi degli interessi economici del paese in un momento così grande – del commercio e dell’industria. Tanto più che, pur troppo, anche le richieste del commercio sono ridotte». Ma poiché «le magre ragioni dell’amministrazione ferroviaria per giustificare questo stato di cose che neppure lo stato di guerra può spiegare», le associazioni decidono di protestare presso l’amministrazione delle Ferrovie di Stato.


Carri treno con pezzi di artiglieria (fonte www.14-18.it)
La prima a muovere passi concreti è il Casino di Commercio di Vercelli, associazione agricola e commerciale vercellese, che invia alla direzione di Torino delle Ferrovie di Stato un telegramma in cui si protesta nuovamente la mancanza di vagoni nella stazione di Vercelli e l’obbligo appena introdotto di frazionare i vagoni (che aggrava le spese di trasporto). La richiesta è quindi quella di fornire il prima possibile un invio di vagoni che possano aiutare a consegnare le merci ai destinatari. Si muovono anche le istituzioni, e il 24 agosto il sindaco di Vercelli, Piero Lucca, riferisce la risposta che a lui giunge da Torino alla richiesta del Casino. Le Ferrovie rimarcano ancora le difficoltà di reperire vagoni dovute principalmente alla guerra e al loro utilizzo militare. Ma si difendono ricordando che «alla stazione di Vercelli, nel periodo dal 16 al 20 corrente, sono stati caricati ben 291 carri, ciò dimostra che si fa tutto il possibile per fornire il materiale corrente». Tuttavia, le Ferrovie di Stato terranno presente le richieste dell’associazione in modo da fornire un maggior numero di vagoni. Perché in fondo, come ricorda La Sesia «la crisi commerciale attuale, conseguenza inevitabile e provveduta della guerra, non dovrebbe essere aggravata dalle difficoltà degli scambi».



 

lunedì 5 ottobre 2015

I socialisti del vercellese contro i comitati di assistenza

Dopo la polemica generale messa in prima pagina dalla Risaia nelle settimane precedenti, il giornale socialista decide di dare voce direttamente alle sezioni locali del partito portando diversi esempi su come questi comitati stiano funzionando male, non adempiendo al loro compito di protezione delle famiglie dei soldati e dei bisognosi.

I socialisti della sezione di Trino mettono sotto accusa il comitato adibito a soccorrere le famiglie povere del paese. In realtà, accusano i socialisti, il comitato è stato formato «a solo scopo di antagonismi fra i partiti di lor signori» (La Risaia 21 agosto ’15). Secondo i conti fatti dal giornale, la cassa del comitato conteneva all’incirca diecimila franchi: «cinque mila furono stanziati dal Comune colla presenza in seduta consigliare dei nostri compagni, e gli altri circa cinquemila furono raccolti alla rinfusa tra capitalisti e nullatenenti». Ma questi soldi, secondo le accuse mosse dai socialisti, sono stati usati da molti per soccorsi a persone non bisognose di aiuto. Tra i beneficiari, infatti, ci sarebbero persone «che non possono far miseria, perché posseggono casa e terreno e persino alcuni di questi non hanno figli o tutt’al più ne hanno uno». Allo stesso tempo ci sono famiglie veramente bisognose «che hanno 3 o persino 4 bambini, senza possedimenti e risorsa alcuna e non sono stati elencati pel soccorso, anzi le mogli reclamarono invano dal personale del Comitato per aver diritto al sussidio». Il tutto, accusano i socialisti a Trino, è causato oltre che da coloro che gestiscono il Comitato (e indirettamente il partito cattolico che controlla Trino) anche dalla “spilorceria” dei signori, che aprono poco volentieri il loro portafoglio per rimpinguare le casse.
Soldati al fronte ricevono aiuti mandati dai comitati


Una lamentela simile viene mossa anche a Asigliano. Anche qui esiste un Comitato Pro Richiamati, ma in questo caso il problema evidenziato non è tanto il funzionamento, ma la mancanza di risorse finanziarie che lo rendono inutile. «Volete sapere – escluso un agricoltore che ha dimostrato di comprendere generosamente il dovere degli abbienti – volete sapere quanto hanno versato gli agricoltori dimoranti ad Asigliano? Nemmeno che 22 lire (diciamo ventidue lire)!». Eppure, sottolinea il giornale, gli stessi padroni erano soliti esaltare i soldati mandati a controllare l’ordine pubblico («che nessuno si sognava di turbare» specifica La Risaia durante il periodo degli scioperi e «ora che questi soldati si battono per la gloria d’Italia, per conservare tranquilli e inalterati gli stessi possedimenti dei padroni, gli agricoltori di Asigliano non corrono a lenire le sofferenze delle famiglie dei richiamati col contributo generoso e doveroso (…). Ora è chiaro che se non versano gli abbienti, i poveri dovranno poi quest’inverno – quando i bisogni saranno cresciuti – patire la fame». Qual è, perciò, la soluzione proposta dal giornale? Che il Governo prenda un provvedimento di tassazione proporzionata alla ricchezza da applicare a «tutta questa gente che assiste ai sacrifici dei soldati, alla miseria delle famiglie ma non si commuove, e più che tutto, non tira fuori un soldo dal taschino».