giovedì 24 dicembre 2015

Vercelli festeggia il primo Natale di guerra! Racconti e pensieri dalla "Sesia" e dalla "Risaia"

Con dicembre arrivano anche le festività per Natale, il primo che la città di Vercelli e tutto il Vercellese trascorre da quando l’Italia è entrata nella contesa europea. La popolazione, quindi si prepara a festeggiarlo nonostante le ristrettezze generate dal conflitto. Anche le due testate che fin qui abbiamo analizzato e che ci hanno accompagnato nel racconto della guerra danno il loro resoconto del Natale trascorso in città e nel contado, anche se con due tagli giornalistici completamente diversi.


Messa di Natale al fronte (fonte www.14-18.it)
Il liberale La Sesia racconta attraverso le sue pagine le attività organizzate per il Natale a favore di tutti coloro che sono colpiti, in un modo o nell'altro dalla guerra in atto. Il giornale da notizia delle iniziative preparate dal Comitato di preparazione civile e dell’Unione femminile «pro soldati» al fine di «allietare la ricorrenza della festa di Natale ai valorosi ospiti dei nostri ospedali di guerra, grazie alla intelligente attività  delle gentili signore dei due Comitati, promette di ottimamente (…) Nel pomeriggio del giorno di Natale, apposite commissioni di signore si recheranno si recheranno negli ospedali della Sanità militare, in quello civile ed in quello della Croce rossa per distribuire i doni destinati a quei giovani fratelli» (La Sesia 24 dicembre ’15). Così il giorno di Natale i soldati ricevono «circa mille doni consistenti in un ramo di pino sul quale erano appesi, legati da nastri tricolori, un portafoglio con porta ritratto, una matita in metallo bianco, un arancio, una «michetta» e cartoline illustrate. I portafogli, che avevano impressa in oro una affettuosa dedica» (La Sesia, 28 dicembre ’15). Non sono naturalmente l’unica cosa che giunge all'ospedale: vino, panettoni e cibo vengono inviati all'ospedale per allietare le festività dei soldati ricoverati.

Natale al fronte (fonte www.14-18.it)
A differenza della Sesia, invece, il socialista La Risaia preferisce raccontare il Natale, «il giorno dedicato a Gesù Bambino, che la leggenda ha fatto nascere in una capanna di Betlemme – in cui secondo il giornale  egli- reca dolci e balocchi ai figli della borghesia» (La Risaia, 25 dicembre ’15), invece di aiutare quelli delle famiglie più povere. Il giornale critica il fatto che, «mentre non abbonda l’aiuto alle famiglie povere, ai figli della borghesia, anche i momenti tristi come quelli che ora attraversiamo, non mancano i dolci e balocchi costosissimi. Quanto denaro sprecato per divertire coloro  che hanno già il superfluo! Quanti bambini, per contro, privi del necessario! (…) Povere mamme! Quante volte devono asciugarsi di nascosto una lacrima e trascinare il bambino lontano dalla vetrina fingendo di rimproverarlo. Ah sarebbe pure una bellissima cosa che il leggendario Bambino recasse i giocattoli ai fanciulli buoni, ma il caso è che bisogna comperarli dai negozianti che vogliono essere pagati». La critica si sposta poi nelle pagine delle corrispondenze, dove nella sezione dedicata a S. Germano il signor Tonelli fa notare come il Natale fosse la festa della famiglia. «Era, cioè, il giorno nel quale si riunivano i vari membri della medesima casa, cacciati dal bisogno  in varie piaghe lungo l’annata». Ma ora tutto questo era cambiato: «Il figlio è alla frontiera; il vecchio padre rimane angosciato al ricovero per non angosciarsi maggiormente recandosi nella sua vecchia casa dove invano aspetterebbe il bacio del figlio che manca; alla mamma manca l’abituale carezza pel bimbo poiché il suo pensiero è… altrove, ed il bimbo s’imbroncia perché tutti sono melanconici!». Per questo l’autore non può fare a meno che sperare, con tutto il cuore «che ritorni presto c’è che era prima, non la festa della chiesa, ma la festa della famiglia la festa della pace».


Il Soldato Felice Zampini (fonte www.14-18.it)
P.s. Sempre nel giornale La Sesia  del 24 ottobre si riportano nuove notizie sul soldato Felice Zampini, di cui abbiamo già parlato in un post di novembre scorso. Il soldato romano era stato ricoverato nell'ospedale militare di Vercelli dopo aver perso entrambe le mani, e qui si era attirato le simpatie della popolazione tanto che La Sesia aveva aperto una sottoscrizione pubblica per aiutare lui e gli altri soldati. Ora, prima di tornare a casa per la licenza di convalescenza, il soldato si reca presso la sede del giornale per mostrare con fierezza «le sue due brave mani meccaniche inguantate, e ne era tutto lieto ed orgoglioso. Egli può con tutta facilità manovrare l’indice ed il pollice d’entrambe le mani, cioè che gli consente di afferrare e tenere il cucchiaio,il bicchiere, la pipa» (La Sesia, 24 dicembre ’15).

venerdì 18 dicembre 2015

Invito alla fine del localismo



All’inizio di giugno l’amministrazione comunale di Biella invitò tutti i rappresentati politici locali a fare del Comitato circondariale un vero e proprio organo di aiuto ai soldati che rappresentasse il Biellese intero, ponendo fine a vani campanilismi, nell’ora in cui era necessario “diventar tutti uguali in quest’ora storica, tutti italiani”. Scopo di questo comitato era la raccolta di fondi, abiti, vettovaglie e altri generi di conforto da inviare ai soldati al fronte; tutti, in particolar modo i più abbienti, erano invitati a donare qualcosa, proprio per venir incontro alla povertà delle zone di campagna, dalle quali proveniva la maggior parte dei soldati reclutati (il 12%, contro il 6% dei paesi industriali ed il 3% di Biella). Gli stessi amministratori dissero: “specialmente le città  ed i paesi industriali, che meno danno nel sacrificio delle persone, più debbono dare nel sacrificio finanziario […]: chi ha un vicino povero che non può sostenere le spese, mandi a nome di lui…Il soldato si convincerà che vi è chi pensa a lui e combatterà con islancio, sarà un buon soldato.”

da il Biellese del 23 giugno 2015

martedì 15 dicembre 2015

Vercelli affronta il problema dell'approvvigionamento del carbone


Con l’avvicinarsi dell’inverno sono diverse le questioni che iniziano a farsi pressanti in città, soprattutto con la guerra ancora in corso. «Il pane caro – descrive il giornale socialista La Risaia - la polenta cara, la salacca e il merluzzo cari, la legna e il carbone cari; dall'altra parte le risorse assai scarse per la mancanza delle braccia più valide al lavoro. Ecco il bilancio preventivo delle famiglie povere, specialmente dei paesi di campagna, che hanno i loro congiunti sotto le armi» (La Risaia, 13 novembre ’15). Questi problemi che assillano la popolazione trovano un minimo di conforto dai sussidi che giungono in parte dal governo e da quelli dei comitati civili, che comunque non sono sufficienti. Per questo, per quanto riguarda alcuni provvedimenti, entrano in gioco anche altre istituzioni. Questo è il caso della Cassa di Risparmio vercellese, che interviene per aiutare le famiglie con gli approvvigionamenti di carbone.

L'onorevole Modesto Cugnolio
Il Carbone e il suo reperimento, necessario per riscaldare le case in vista dell’inverno, con l’avanzare dei giorni sta diventando sempre più un problema, specialmente per le famiglie più povere che non possono permettersi di pagare tanto per questo. La questione viene sollevata in consiglio comunale dai socialisti, che alla fine di ottobre riescono a fermare un provvedimento preso dalla Commissione dell’officina Gas, che aveva deciso di interrompere la vendita diretta del carbone al piccolo consumatore mantenendo solo quella all'ingrosso. Ottenuta questa revisione i socialisti, guidati dall'onorevole Cugnolio, continuano a far pressione sulla Giunta affinché arrivi a una soluzione. Alla fine a fornire una soluzione è la Cassa di Risparmio. «Questo istituto solito a distribuire in beneficenza una rilevante parte dei suoi utili, ha voluto anticipare la sua beneficenza stanziando per l’agitata questione della provvista del carbone lire 16.000» (La Risaia, 13 novembre ’15).  In questo modo, la Cassa di Risparmio: «e venuta nel lodevole venendo in soccorso alle famiglie più povere della città per la provvista del carbone coke, onde facilitarne loro l’acquisto mediante una considerevole riduzione dei prezzi» (La Sesia, 9 novembre ’15).


Il sindaco Piero Lucca
In cosa consiste questo provvedimento preso dalla Cassa di Risparmio? «La Cassa emetterà quattromila buoni da distribuire mille per mese nei quattro mesi più rigidi dell’inverno; ciascun buono varrà per un quintale, da acquistarsi anche a miriagrammi, che sarà dall'acquirente pagato quattro lire meno del prezzo della giornata, perché le quattro lire saranno rimborsate dalla Cassa di Risparmio all'Officina del gas, fornitrice del carbone». A decidere i beneficiari di questo provvedimento saranno i membri di una commissione creata ad hoc dal Comune: «una Commissione di quattro membri, due della maggioranza e due della minoranza, la quale saprà trovare il modo della giusta distribuzione dei tagliandi coi quali si potrà acquistare il carbone a quattro lire meno del prezzo della giornata. (…) Il carbone a prezzo ridotto verrà distribuito prima di tutto alle famiglie dei richiamati bisognose, poi alle vedove ed ai vecchi inabili al lavoro. La commissione non potrà disporre per più di mille quintali al mese. Può tuttavia accadere che stretto dalle circostanze il comune debba provvedere i fondi per completare questo servizio del carbone e forsanche per istituirne altri necessari per combattere il caro viveri come fu già fatto in altre città» (La Risaia, 13 novembre ’15).  

giovedì 10 dicembre 2015

Nelle scuole vercellesi non si serve più minestra! La crisi del patronato scolastico


Tra i vari disagi laterali causati dalla guerra ci sono anche quelli che colpiscono la scuola e l’istruzione. Questa, soprattutto nella città di Vercelli, era già stata messa sotto pressione durante l’estate quando parte dei plessi scolastici erano stati sequestrati e usati come locali per l’ospedale militare della città. Situazione risolta grazie all'intervento del sindaco Piero Lucca che era riuscito a ottenere di liberare almeno gli edifici del Convitto Dal Pozzo e degli Istituti “Camillo Cavour” e “Giuseppe Mazzini”. Ora, a pochi mesi dall’inizio della scuola, una nuova questione si apre sul fronte scuola, quella del Patronato scolastico.

L'Istituto Cavour
Cos'è il patronato scolastico? Si tratta di una istituzione nata verso la fine del XIX secolo allo scopo di incentivare la scolarizzazione elargendo anche, dove è necessario, contributi di carattere economico. All'inizio del 1913 questi patronati vengono istituiti nei comuni con lo scopo di fornire assistenza agli alunni delle scuole elementari attraverso la creazione di mense scolastiche, sussidi per vestiti e distribuzione di materiale didattico e di cancelleria. Proprio sulla mensa si scatena la polemica. Il 23 ottobre esce su La Risaia un articolo che protesta per la modifica imposta dal sindaco Piero Lucca sulla refezione concessa dal patronato scolastico che «negli anni scorsi consisteva in una bella scodella fumante di ottima minestra – mentre ora – si distribuirà d’ora innanzi la fettina di salame od il pezzetto di formaggio» (La Risaia 23 ottobre ’15). Un cambiamento che potrebbe fare piacere ai ragazzi, ma che invece non farà di certo piacere alle famiglie, che preferirebbero del cibo caldo per i propri figli. Il problema è che l’alto prezzo del carbone avrebbe comportato un costo per il pasto, un costo che il Comune (che sostiene la maggioranza delle spese del patronato, circa 21.000 lire) inizia a farsi troppo pesante. Servirebbe l’aiuto dei “padroni”, ma questi contribuiscono solamente con 690 lire, troppo poco secondo La Risaia che vorrebbe che il Comune spinga per ottenere più fondi da loro.


Un francobollo "Pro Patronato"
(fonte www.delcampe.net)
Su questo argomento il giornale socialista riceve l’appoggio anche della Sesia, perché il patronato è un’istituzione che merita «tutta l’attenzione del pubblico in una città che abbia coscienza dell’importanza della scuola. In tanto su può con rigore pretendere la stretta osservanza, da parte delle classi popolari, dell’obbligo scolastico» (La Sesia, 24 ottobre ’15). Per questo motivo questo deve essere curato, e se il motivo per cui la refezione scolastica è passata da calda a fredda è solo finanziario, allora è necessario ampliare la disponibilità finanziaria del Patronato. Anzi «noi vorremmo che l’appello per creare nuovi sostenitori al Patronato fosse periodico, almeno annuale». Lo scopo, secondo La Sesia, soprattutto in un momento tale di difficoltà dovrebbe essere quello di ampliare la base dei “padroni” che forniscono finanziamenti al patronato e non dileggiare e chiedere ancora di più a quelli che lo fanno già. Anche perché, fa notare La Sesia «se si verificassero le liste dei maltrattati padroni si vedrebbe che sono, su per giù, sempre gli stessi volenterosi contribuenti di tutte le buone iniziative cittadine; mentre mancano nelle loro file molti che avrebbero obbligo morale di esservi inclusi».  Poiché, come ricorda La Risaia: «Pur ammirando l'abnegazione e lo zelo dei pochi che al patronato diedero soldi e fatiche, e l'altruismo degli amministratori che gratuitamente diedero l'opera loro, del segretario cav. Defilippi, che - ci assicurano - per lunghi anni  si sobbarcò  ad ingenti carichi senza riscuotere neppur un baiocco di assegno (...) Con tutto ciò, ripetiamo, non si dileggia alcuno affermando che 690 lire raccolte da una così ostinata federazione di benefattori son pochine pochine...» (La Risaia, 30 ottobre '15)

lunedì 30 novembre 2015

L'inabissamento della "Benedetto Brin" colpisce Vercelli e due suoi cittadini

Una foto della corazzata Benedetto Brin
A fine settembre del 1915 l’Italia venne sconvolta dalla notizia della perdita della corazzata Benedetto Brin, nave da guerra che aveva partecipato allo sbarco a Tripoli nella guerra di Libia e che si trovava alla fonda nel porto di Brindisi. Causa dell’affondamento è l’esplosione proveniente dalla santabarbara della nave, anche se ancora oggi non sono del tutte chiare le ragioni (c’è chi parla di un agente austriaco o di un marinaio traditore, o semplicemente di un incidente casuale). Quel che è certo è che su 943 uomini presenti a bordo persero la vita 456 tra cui il comandante Giro Fara Forni e il Contrammiraglio Ernesto Rubin De Cervin. Tra i membri dell’equipaggio, due marinai erano provenienti da Vercelli: il cannoniere scelto Desiderio Trinchero e il torpediniere silurista Francesco Calvo. Le famiglie dei due ragazzi fanno telegrafare il sindaco al Ministero della Marina per chiedere delle informazioni sullo stato dei due giovani e «il contrammiraglio Nicastro rispose, che il Trinchero è salvo, benché ferito, e che il Calvo è affatto incolume» (La Sesia, 1 ottobre ’15). 

In realtà, le prime buone notizie vengono smentite nel giro di pochi giorni. Il cinque di ottobre, attraverso un telegramma inviato dal Ministero della Marina, arriva al sindaco Piero Lucca la notizia della morte del cannoniere scelto Desiderio Trinchero in seguito alle ferite riportate durante l’incidente. Il sindaco però non fa in tempo a comunicare la morte alla madre del cannoniere, poiché la donna è già partita per Brindisi per prestare soccorso al figlio ferito; la donna giunge a destinazione quando il figlio è ormai già sepolto, con grande strazio per la madre appena giunta a destinazione. La notizia, insieme alla foto del giovane caduto, viene riportata dalla Sesia l’8 ottobre.

La fine della Benedetto Brin (fonte www.brindisiweb)
Una sorte più favorevole è invece riservata all'altro vercellese presente sulla Benedetto Brin al momento dell’esplosione. Il giovane marinaio silurista Francesco Calvo, infatti, sopravvissuto all'esplosione torna a Vercelli, in licenza provvisoria mentre attende di essere ricollocato su una nuova nave. La Sesia riporta sul giornale il racconto dell’avvenimento fatto dal ragazzo. «Il Calvo – si legge sul giornale - era a bordo della sua nave quando avvenne lo scoppio, e si trovava, con altri quattro compagni, nella camera di lancio dei siluri, che si trova a due metri e mezzo sotto il livello dell’acqua a prua, mentre lo scoppio era avvenuto a poppa. Al primo momento pensò che la nave fosse stata silurata da qualche sommergibile nemico nascosto nel porto; ma il rombo dell’esplosione era troppo formidabile perché si trattasse di un solo siluro (…) I cinque giovani si trovarono improvvisamente all'oscuro, essendosi spenta la luce elettrica; il Calvo salì per la scaletta interna, alla sala soprastante delle dinamo, dove sentì ben presto, l’acqua sotto i piedi; passò allora nei locali dell’officina e vi trovò aperta nel soffitto una botola, la chiusura della quale era stata divelta dalla violenza dell’esplosione. Salito sopra un torno, vi si arrampicò ed uscì all'aperto. L’acqua rasentava ormai il bordo della nave: il Calvo si gettò in mare» (La Sesia, 17 ottobre ’15). Un ultimo ricordo va anche alla vittima vercellese Desiderio Trinchero, di cui Francesco Calvo era amico e col quale era sulla Brin già da nove mesi. «La sera prima del disastro – racconta il giornale – erano stati insieme. È ancora addolorato della misera fine dell’amico» 

giovedì 26 novembre 2015

Una lettera dal fronte


Antonio Rivardo, classe 1893, del 33° fanteria, morì di tifo. Pochi giorni prima aveva scritto una lettera alla moglie che riportiamo. “Dopo un mio lungo silenzio vengo a farti sapere mie notizie. È già 8 giorni che mi sento un po’ ammalato, ho la febbre, ma adesso mi sento un po’ meglio, però sopra di questo non pensare male, io ho ritardato a scrivere perché mi mancava la carta. Quindi mandami buste e carta, e fammi sapere sovente tue notizie, e quando mi scrivi mandami anche la fotografia di Ermes [il figlio, nda]. Se io non posso scrivere, scrivimi tu sempre e raccontami tante cose. Noialtri qui siamo in mezzo a delle montagne che si sta molto bene. Ti mando mille baci a te, alla mamma e a tutti di casa, e pregate per me ch’io possa venir a casa presto e glorioso.”

Da il Biellese del 1 settembre 2015

lunedì 23 novembre 2015

Il Comune di Asigliano e il Comitato Femminile

Agli inizi di ottobre si apre una lunga polemica nel comune di Asigliano, causate da una disputa tra l’amministrazione comunale socialista, retta dal sindaco Ferraris, e uno dei nuovi comitati di assistenza ai soldati che vengono fondati nei paesi italiani. Cosa accade?

A settembre, nel comune vercellese, viene costituito un nuovo comitato con lo scopo di raccogliere della lana per confezionare indumenti invernali da inviare ai soldati al fronte in vista dell’inverno e per rispondere agli appelli provenienti dai giornali fin da fine agosto per fornire ai soldati aiuti per l’inverno in arrivo. Il comitato viene formato da una cinquantina di donne del paese che «si fecero premura di dare il loro nome e col nome il loro obolo generoso, non solo, ma si divisero il paese in varie sezioni, recandosi volenterose in gruppi ad ogni casa a chiedere il concorso pecuniario della popolazione tutta» (La Sesia, 24 settembre ’15). Il comitato in poco tempo raccoglie più di mille lire con l’intenzione di acquistare lana per farci delle calze, passamontagna, sciarpe e guanti. I problemi nascono quando il sindaco di Asigliano rifiuta di concedere al Comitato contributi comunali e l’uso di una sala nel Palazzo comunale per una riunione, costringendo il Comitato a spostarsi presso la Parrocchia. La decisione viene criticata duramente sempre sul giornale La Sesia qualche giorno dopo da un soldato asiglianese al fronte. «Io, come asiglianese, che mi trovo al fronte, protesto altamente contro l’atto, oltreché antipatriottico, anche in umanitario, compiuto dal signor sindaco (…) È veramente deplorevole, che in un’opera benefica e santa, incoraggiata dall’on. Presidente del Consiglio, un pubblico funzionario, anziché dare il buon esempio, opponga delle ripulse che muovono a sdegno» (La Sesia, 3 ottobre ’15).

La difesa viene affidata a una lettera che il sindaco di Asigliano manda al giornale La Risaia e che il quotidiano socialista pubblica a inizio di ottobre. Il sindaco afferma di voler rispondere perché gli articoli e le lettere (soprattutto quello del soldato che velatamente accusa di essere falsa) insinuano «il dubbio che si facciano delle animosità di partito piuttosto che compiere opere buone» (La Risaia, 9 ottobre ’15). Qual è la versione del sindaco? «Dopo che tre mesi che si era qui in Asigliano costituito un Comitato Civile, sorge nell'idea di certe signore di formare un Comitato femminile per la confezione di indumenti di lana; anzi sembrava a tutta prima che questo Comitato avrebbe collaborato volentieri col Comitato Civile». Ma questa speranza, secondo il sindaco, sarebbe stata vanificata otto giorni dopo quando i due comitati si riuniscono assieme e il Comitato femminile si rifiuta di accettare gli aiuti provenienti dal Comitato civile «dichiarando di non voler uomini immischiati nella loro opera, dicendo di voler fare da sole. Dopo aver rinunciato a tutte le offerte, rivolgono al Comune la domanda di sussidio; una vera assurdità perché il comune aveva già un altro Comitato legalmente e civilmente costituito ed al quale  bisogna pensare di fornire i fondi per far fronte alla grande miseria che non mancherà nel prossimo inverno». L’accusa del sindaco diventa poi più precisa; Ferraris afferma che le signore si erano sentite patriottiche solamente dopo l’appello del parroco, e non nei quattro mesi in cui il Comitato civile era stato attivo.


La polemica si conclude poi sulla Sesia, con il giornale che da spazio a una replica della anonima buontempona che il sindaco aveva criticato sulla Risaia. La donna racconta come ha rifiutato perché «mentre promettevano una anticipazione di forse 400 lire per la lana, imponevano d’altra parte condizioni tali, a cui le signore non cedettero di aderire (…) ad onor del vero che, nessun ostacolo venne da questo frapposto, ed i due Comitati, pur separando nettamente le proprie mansioni ebbero sempre la reciproca stima, tant'è che parecchie delle signore del Comitato femminile sono mogli o parenti dei signori del Comitato maschile» (La Sesia, 12 ottobre ’15). La Sesia poi chiude il giro, invitando il sindaco in redazione a controllare la cartolina militare inviata dal soldato, che il geometra Ferraris considerava falso. 

martedì 17 novembre 2015

I primi profughi dall'Austria e dal Friuli



L’arrivo dei primi profughi a Biella
Pochi giorni dopo i primi feriti e ammalati, ricoverati in seminario, giunsero a Biella un centinaio di profughi “dalle terre irredente”. Giunsero alla stazione ferroviaria, furono registrati, e fu offerto loro il pranzo al Caffè della Stazione. Subito dopo furono trasferiti al Santuario di Oropa, che nei suoi ampi spazi era da tempo pronto ad accogliere i profughi ed i rifugiati. Tra di essi si contavano una ventina di bambini e circa trenta donne, quasi tutti triestini e goriziani, ma anche alcuni austriaci e una signora germanica con tre figli, che aveva il marito nell’esercito tedesco.
Qualcuno dichiarava subito, con cadenza veneta: “Desideriamo trovare una occupazione per essere sicuri de magnar tuti i dì.” Data questa ferma volontà di continuare ad esercitare il proprio mestiere, essi sarebbero stati presto impiegati nelle manifatture biellesi per andare a colmare i vuoti lasciati dai richiamati. La distribuzione dei profughi nelle aziende si auspicava fosse affidata al Comitato circondariale, che non si sarebbe dovuto occupare solo degli aiuti ai richiamati, ma fare “opera di buon patriottismo”, dimostrando agli irredenti che “l’Italia li sa e li vuole tutelare”.
La vita nelle terre irredente
Riportiamo una breve intervista ad uno dei profughi:
« -   Ero a Trieste dal 1892 ed ero diventato un triestino anch’io; visto che le cose si facevano brutte, ho passato, con la dichiarazione di guerra, la frontiera e mi sono costituito alle autorità italiane.
-          Ed ora?
-          Ora ho una figlia in Austria. Ha sposato un austriaco e da otto mesi è in Galizia. Per fortuna non hanno figli. Brutti momenti, figliolo mio benedetto, brutti momenti! E speriamo che la guerra termini presto. Se no, son guai.»
Il clero nelle terre irredente
Tra i profughi vi erano anche due sacerdoti della Valsugana. Uno di essi, intervistato, racconta come fosse difficile per il clero esercitare il proprio ministero per evitare ripercussioni su se stessi e sui propri cari in caso di aperta propaganda antiaustriaca o anti-italiana. Dai vertici della Chiesa, infatti, erano arrivate indicazioni di non fare politica, distinguendo tra i sentimenti personali (pare in gran parte per l’italianità) e la professione di tali sentimenti.
Il popolo, inoltre, “non vive di idealità politiche, vive di pane e si accontenta del pane” e quindi, nonostante le simpatie per l’Italia non sentiva il bisogno di sollevarsi in aperte rivolte.  L’intervistato ricorda come abbia predicato una sola volta, invitando a non odiare né gli austriaci, né gli italiani. Queste parole miti non devono, però, dare adito alle accuse che spesso si sentivano verso i cattolici e il clero per non aver organizzato sollevazioni o rivolte.
Propaganda e informazione
Oltre ad informare sulle condizioni dei rifugiati questi articoli servono a rinforzare la convinzione italiana della bontà della guerra, dato l’alto numero di italiani irrendenti e vogliosi di far parte del Regno savoiardo che viveva oltre confine.

Accuse ai cattolici

Insieme alle molte testimonianze di solidarietà, si diffusero, fin dai primi giorni di combattimenti, le accuse tra le varie forze politiche riguardo la responsabilità dell’ingresso in guerra; naturalmente lo scontro più acceso fu quello tra socialisti e cattolici.
Sulle pagine de Il Biellese troviamo risposte alle numerose accuse che “socialisti e massoni” rivolgevano dai propri organi di stampa ai cattolici “austriacanti”, e ai papi Pio X e Benedetto XV in particolare.
Taluni sostenevano che Papa Pio X avesse dato al Kaiser Guglielmo II 6 miliardi di lire perché egli iniziasse la guerra e che gli atteggiamenti  pacifisti del pontefice fossero farse volte a nascondere l’intima soddisfazione per un conflitto che doveva, secondo tale visione, eradicare il socialismo dall’Europa e dall’Italia in particolare.
Senza dilungarci su dove il Papa potesse aver preso tale somma di denaro e sul perché volesse a tutti costi la guerra possiamo notare come non ci fosse quartiere nella lotta ideologica e politica dell’epoca. Quasi ogni numero, infatti, riportava smentite alle varie accuse: le più eclatanti riguardavano il clero delle zone di confine, spesso accusato di non fare nulla per la causa italiana o di appoggiare apertamente gli austriaci. Riportiamo nell’immagine un piccolo e gustoso esempio della polemica politica e ideologica di quel periodo.

Da il Biellese del 1 e del 15 settembre 2015