sabato 3 dicembre 2016

La guerra ai tempi della Strafexpedition

A metà maggio notizie provenienti dal fronte iniziano a turbare inevitabilmente la vita delle comunità italiane. Una grande offensiva austriaca, infatti, coinvolge l’altopiano dell’Asiago, l’alto vicentino e il Trentino meridionale sfondando le linee italiane e facendole arretrare. Scopo degli austriaci, oltre a punire l’ex alleato per la sua defezione a inizio guerra, era quello di provare a tagliare in due il territorio italiano puntando su Venezia isolando così le truppe impegnate lungo il fronte dell’Isonzo. L’offensiva austriaca partì nei giorni tra il 14 e 15 marzo, per proseguire per nel mese successivo fino alla fine di giugno.


La mappa dell'offensiva
L’inizio dell’attacco sorprende gli italiani, che non riescono a coordinarsi sin dal primo momento per una controffensiva efficace, anche perché il comando militare italiano aveva sottovalutato il pericolo e lo stesso attacco. Come reagiscono, invece, i giornali? Sulla Sesia, la prima notizia dell’offensiva finisce in fondo alla prima pagina, con il semplice titolo Violenti attacchi in Valle Lagarina, tra Valle Terragnolo e l’Alto Astico, nel settore di Asiago e in Val Sugana (La Sesia 19 maggio ’16). Che l’offensiva preoccupi, e non poco, viene dimostrato da un articolo che appare sulla Sesia pochi giorni dopo dal titolo L’offensiva austriaca nel Trentino. Una nota ufficiosa in cui il giornale sembra giustificare le difficoltà incontrate dagli italiani a respingere gli attacchi austriaci. Parlando delle prime ritirate sulle linee difensive, il giornale afferma che: «talune posizioni da noi occupate durante lo svolgimento della nostra avanzata in territorio nemico avevano carattere transitorio, e cioè punti di appoggio per ulteriori sbalzi in avanti, ma non avevano nè potevano avere carattere staile in caso di forti spinte del nemico» (La Sesia, 23 maggio ’16). Inoltre, ricorda il giornale: «Nelle regioni montuose poi le linee di difesa non possono, come in pianura, susseguirsi a brevissima distanza; esse sono in qualche modo tracciate dalla natura prima che dall’uomo (…) È questa appunto una delle maggiori difficoltà della difensiva nella guerra di montagna. Né si deve dimenticare che chi attacca ha il vantaggio di scegliere il punto su cui puntare e di poter preparare in tempo il maggior sforzo in quella direzione». 

Ciò che resta degli altipiani dopo i combattimenti
L’articolo chiude con alcune note positive: la ritirata degli italiani era stata semplicemente un ripiegamento sulle linee difensive preposte per evitare perdite inutili (operazione avvenuta: «ordinatamente, non senza aver prima in avere inflitto al nemico grandissime perdite»); ogni attacco nemico, dopo una iniziale avanzata, si era stato fermato dagli italiani al costo di “gravissime perdite” (anche se al termine dell’offensiva le perdite italiane saranno molte di più di quelle austriache); «La storia di tutte le offensive della presente guerra europea sta a dimostrare che ai primi facili sbalzi succedono inevitabilmente lunghi e logoranti arresti, quando l’attaccante urta contro posizioni ben munite, si allontana dalle proprie artiglierie pesanti e si trova di fronte le riserve della difesa opportunamente disposta (…) In complesso noi possiamo considerare con piena fiducia lo svolgimento delle odierne operazioni, con le quali il nemico cerca di sottrarsi alla posizione di stratta difensiva impostagli durante ormai un anno, o di turbare il piano di azione degli Alleati». In questo modo, La Sesia prova a tranquillizzare i cittadini sugli esiti di una offensiva che preoccupa in molti.

martedì 4 ottobre 2016

Appelli per l'Assistenza materna

Uno dei problemi principali che le città e i paesi devono affrontare quando uno Stato è in guerra e come sopravvivere nella vita di tutti i giorni senza l’aiuto di figli, mariti e padri nella vita di tutti giorni. Problemi che abbiamo visto già in altri post, che riguardavano principalmente le condizioni di lavoro imposte alle donne o i modi in cui aiutare le famiglie dei richiamati.

 Con l’avvicinarsi del periodo estivo e l’inizio della monda, intanto, un altro problema inizia a essere pressante. Cosa fare con i ragazzi e i bambini che, con l’inizio del periodo della monda, si ritrovano a essere lasciati a casa. In uno dei primi post abbiamo visto come si fosse tentato di abbassare l’età di accesso alla monda, in modo da dare la possibilità ai ragazzi più grandi di dare una mano alla famiglia economicamente e di occupare il loro tempo lavorando. Passato un anno, si moltiplicano gli appelli affinché si aumentino gli sforzi e le opere per dare assistenza a questi ragazzi. Tra i primi a lanciare l’appello è del vicario di Prarolo Paolo Bodo, che chiede ai comuni, ai comitati di previdenza, alle persone agiate di creare e finanziare l’istituzione dell’Assistenza materna: «aventi il nobile e santo scopo di assistere e custodire i poveri bambini delle mondarisi, di provvedere ad essi la minestra, di alleviare più che sia possibile da spese le povere famiglie dei richiamati – opere che erano – di semplice convenienza nel passato, nell'ora presente è diventata una vere ed impellente necessità» (La Sesia, 20 maggio ’16).


 L’appello viene ripetuto sul giornale La Sesia  in una lettera pubblicata su prima pagina, che vuole sottolineare i problemi riguardanti l’Assistenza materna per i comuni del contado, che «se per il passato esso non assunse l’importanza dei due primi, si fu, perché, trovandosi ancora a casa i padri, potevano essi stessi attendere ai bisogni delle loro famiglie e le madri – almeno gran parte di esse – potevano curare esse stessi i loro bambini; ora, invece, che la maggior parte dei padri sono chiamati dalla Patria a compiere il loro supremo dovere di buoni italiani (…) i poveri bambini, posti a custodia di altri bambini, che sebbene più grandicelli, non sono meno bambini ed inesperti di quelli che custodiscono, passano le intiere senza che un occhio vigili alla loro custodia, senza poter avere un po’ di minestra (…) Stando così le cose, chi non vede in questi bambini i medesimi bisogni degli orfani della guerra e dell’infanzia abbandonata». L’appello della lettera è quindi chiaro: promuovere e finanziare la creazione di altri centri per l’Assistenza materna che possano essere funzionanti durante il periodo della monda e anche oltre, perché: «i generosi che si faranno promotori dell’istituzione dell’Assistenza materna, nei comuni rurali, si avranno, oltre la benedizione di Dio, il più cordiale ringraziamento dei padri e delle madri e il più alto plauso della patria».

sabato 17 settembre 2016

Le "Grandi Intese" ai tempi della Grande Guerra

Protagoniste indiscusse del presente, le “grandi intese” tra partiti di ispirazione diversa nate per necessità elettorali non sono solo una prerogativa dei nostri tempi, così come le polemiche che attorno a queste nascono. Un esempio ci viene dato dall'amministrazione comunale di Palazzolo durante l’epoca di guerra, dove a governare era una coalizione tra Socialisti e Popolari.

Questa coalizione era nata nel giugno del 1914, a seguito alle elezioni in cui non era emerso un chiaro vincitore ed era nata «sembrava nata fatta per dare prova di modernità e di rinascente energia» (La Sesia, 14 maggio ’16). In realtà, i contrasti tra socialisti e popolari e quelli interni ai socialisti stessi avevano sin dai primi mesi generato problemi. La Sesia  individua il problema dell’amministrazione di Palazzolo nell’aver fatto l’errore di «asservirsi alle imposizioni del partito socialista. L’amministrazione comunale deve essere imparziale e diretta al benessere del paese, deve agire liberamente (…) questa, invece, prima di tutto prese a norma fondamentale della sua azione l’esame e il controllo preventivo dei vari problemi e delle varie questioni, per parte del Circolo Socialista». Nonostante avesse ottenuto diversi risultati (come l’abolizione di funzioni religiose e la soppressione dell’insegnamento religioso nelle scuole) i socialisti attraverso La Risaia che in due anni di amministrazione nessuna vicenda seria fosse stata affrontata e quindi aveva iniziato a espellere loro compagni, a chiedere le dimissioni di consiglieri popolari perché «indegni della pubblica fiducia» e a provare voti di sfiducia contro il sindaco. Insomma, per La Sesia «l’esperimento del partito socialista, che ha voluto assumere la responsabilità del potere con mezzo di ibride coalizioni, è completamente fallito».


Dall’altra parte dello steccato, anche i socialisti si lamentano per lo stesso motivo con l’amministrazione del comune di Palazzolo. Secondo loro, infatti, l’amministrazione è troppo morbida e poco “socialista”, tanto da ricevere continue critiche dal partito. Agli inizi di maggio i socialisti di Palazzolo si riuniscono e, dopo aver deciso per l’espulsione di alcuni iscritti perché rei di essersi recati a lavorare il primo maggio, discutono «sulla condotta amministrativa dei nostri consiglieri comunali causa di continui disaccordi e dell’attuale crisi comunale» (La Risaia, 11 maggio ’16). La discussione porta alla radiazione dal partito di tre consiglieri: Giuseppe Gagnone, Caio Mocca e Giacomo Poy. Come viene spiegata questa situazione dai socialisti? Sulla Risaia un articolo a firma G. Fiorano racconta come si è giunti a questo punto, con elementi che ricordano molte polemiche a noi contemporanee. «Alla vigilia delle elezioni – si legge – i componenti la maggioranza dell’attuale consiglio comunale, ovunque si passasse ci capitavano continuamente fra i piedi e ci promettevano mari e monti, Roma e toma, accentando qualunque proposta che fosse fatta da un solo elettore. Siccome pel passato queste persone almeno una parte di queste non rappresentava che la minoranza e quindi l’opposizione alla maggioranza allora imperante, gli elettori non potevano farsi un giudizio esatto sulle idee loro» e quindi, di quello che potevano fare. Per questo, secondo i socialisti, erano stati eletti consiglieri poco adatti, anche alcuni che erano stati eletti con appoggio dei socialisti e con la promessa di seguire le direttive dei congressi socialisti e del loro programma. Ma di quel programma solo in parte era stato approvato, mentre per gran parte era stato ignorato. «Da quest’esame noi ci siamo persuasi che non ha mantenute le promesse fatte per riuscire eletta e perciò confermiamo la nostra diffida, cioè che noi non crediamo più che quest’amministrazione meriti la fiducia e l’appoggio morale che abbiamo concesso nel passato» (La Risaia, 18 maggio ’16).

lunedì 15 agosto 2016

Ringraziamenti dall'America

Tra le tante sottoscrizioni aperte dal giornale La Sesia, molte vengono dirette ai soldati feriti durante la guerra e successivamente ricoverati nell'ospedale militare di Vercelli. In questo blog abbiamo già raccontato la storia del soldato Felice Zampini, che aveva subito l’amputazione di entrambe le mani e a cui vennero poi date delle protesi comprate grazie ai soldi raccolti tra i cittadini. Questa volta, invece, La Sesia riporta la storia di un altro valoroso soldato e dei suoi famigliari.
una foto del soldato Zampini

Il soldato si chiamava Filippo Faraone e, a seguito di una ferita, gli erano stati amputati entrambi i piedi. Il giornale aveva allora deciso di aprire una sottoscrizione a cui i lettori avevano aderito raccogliendo quasi 200 lire. Sfortunatamente, il soldato Faraone non era riuscito a usufruirne. Poco tempo dopo, infatti, stretto attorno all'affetto dei parenti e dei genitori giunti a Vercelli dalla campagna romana, era morto. Quelle 200 lire finirono quindi tra le mani della famiglia del caduto, che  «diede una così luminosa prova del commovente e reciproco affetto da cui è patriarcalmente unita» (La Sesia, 9 maggio ’16) ringraziando la città per l’aiuto dato. Tuttavia la gratitudine non si fermò lì. Ad aggiungere parole di ringraziamento alla città arriva al dottor Isnardi, medico del Faraone, anche una lettera dagli Stati Uniti (più precisamente da Syracuse), dal fratello del soldato, Angelo Faraone.

Angelo Faraone si rivolge, nella lettera, proprio al giornale La Sesia e ai vercellesi, che vuole ringraziare con tutto il cuore. «Da quello che ho letto sul giornale, dalle notizie mandatemi dalla famiglia, ho potuto ben comprendere quanto sia stato atroce l’agonia del mio povero fratello (...) Ma questo dolore è ben lenito dal pensiero che Egli è morto per la Patria, è morto assistito dai suoi più cari (…) e che il Popolo magnanimo vercellese ne ha compianto l’immatura perdita!. Ed il cuore nobile dei Vercellesi non solo si mostrò riconoscente verso il povero mutilato, non solo dette ospitalità ai  poveri genitori, non solo volle lenire il loro dolore con dolci parole di conforto, ma con il largir loro  la cospicua somma di 200 lire. Se il mio povero fratello, non colle parole potette dire a loro il grazie, glielo diceva certo  cogli occhi». La gratitudine si sposta poi al giornale: «A codesto giornale, alla sua redazione giungano graditi da questa lontana America i nostri sentiti ringraziamenti, uniti ai più begli auguri di felicità avvenire (…) Porgano i nostri ringraziamenti e saluti a tutto il popolo vercellese e sappia che della loro generosità noi serbiamo grato ricordo». 

sabato 6 agosto 2016

Contro gli "Untori" delle notizie

Mentre siamo ormai in aprile inoltrato, La Sesia decide di affrontare di petto una questione che sta iniziando a provocare un certo fastidio alla città, quello del proliferare delle notizie false. Un problema che va a intaccare direttamente i giornali, in prima linea nella lotta della propaganda interna e soprattutto tenuti a freno dalla censura che blocca l’uscita di notizie ritenute lesive. Per questo il giornale liberale vercellese l’11 aprile presenta in prima pagina un duro editoriale contro questa epidemia.

«Che in tempo di guerra – afferma il giornale – sia facile il sorgere ed il circolare di notizie errate, si può fino a un certo punto spiegare; ma quando le notizie, assolutamente false, prendono una forma concreta e precisa, con particolari altrettanto ben determinati quanto perfettamente inventati, allora si entra nel campo della malvagità criminosa, non solo passibile, ma meritevole delle più severe sanzioni della legge personale» (La Sesia, 11 aprile ’16). La notizia che aveva scatenato questa reazione riguardava il sindaco Piero Lucca, il quale avrebbe «ricevuto più di trenta telegrammi annuncianti la morte di altrettanti soldati vercellesi in guerra, e che il primo magistrato cittadino non sapeva decidersi a comunicare alle famiglie la dolorosa notizia». Altre notizie che circolavano incontrollate erano quelle che riguardavano diversi ufficiali vercellesi caduti in battaglia. Insomma «voci simili non possono non destare negli animi di quelli i quali hanno dei loro cari alla fronte, delle ansie angosciose, delle penose incertezze, dei dubbi spaventevoli (…) mentre in quest’ora tragica e solenne si ha tanto bisogno di animi forti, sereni, resistenti». Già i primi colpevoli erano stati trovati (La Sesia riferisce dell’arresto da parte del Pretore di un sacerdote), ma «occorre anche che i cittadini diano prova di buon senso e di patriottismo non prestando facile orecchio a queste voci allarmanti e false, e non facilitandone la diffusione- dando poi un consiglio valido ancora per i nostri tempi sul – diffidare sempre di quelle, specie se esagerate come le notizie dei giorni scorsi, che non provengono da fonte ufficiale. E quando il cittadino “sente” di essere vicino alla fonte della notizia falsa – per amore di giustizia – denunci senza missione questi untori».


L’appello, comunque, sembra non avere l’effetto sperato e qualche tempo dopo La Sesia  è costretta a parlarne nuovamente. Le voci incontrollate e false questa volta riguardano il caporale maggiore Pietro Marinone, vercellese reduce da una frattura alla gamba che si trovava in licenza a Vercelli e che era stato riportato in arresto al fronte. Su questa vicenda in molti avevano fatto ipotesi o fatto circolare notizie false sul motivo dell’arresto (che il giornale, a causa della censura, non può specificare). Alla fine il soldato era stato dichiarato innocente ed era tornato in licenza a Vercelli da uomo libero. E «chiunque dica il contrario mentisce vigliaccamente ai danni di un bravo, valoroso ed onesto soldato, e gli autori delle voci calunniose potrebbero essere chiamati a risponderne».

lunedì 4 luglio 2016

Le difficoltà del lavoro delle donne


Con uomini, figli, padri e mariti bloccati sul fronte di guerra, le donne, come abbiamo già avuto occasione di raccontare altre volte, avevano dovuto farsi carico anche del sostentamento economico della famiglia, andando a lavorare al posto degli uomini che combattevano al fronte. Tuttavia, molto spesso le condizioni di lavoro a cui dovevano sottostare non erano per niente simili a quelle degli uomini. La Risaia decide di evidenziare questo aspetto e a metà aprile pubblica un articolo proprio su questo argomento.


«L’anno scorso – scrive il giornale – le donne che si recavano sul finir dell’inverno nell'acqua fredda a spianare la risaia con la zappa prendevano sulle fini di Vercelli ventotto soldi al giorno e nelle cascine un po’ lontane trenta» (La Risaia, 8 aprile '16). Con l’anno nuovo e la necessità di più manovalanza e generi di prima necessità anche gli agricoltori avevano deciso di aumentare la paga delle loro braccianti, ma solamente di due soldi. Un aumento che però appare a tutti troppo basso per rispondere in modo adeguato alle difficoltà portate dalla guerra, soprattutto guardando a territori vicino al vercellese, dove la paga era stata aumentata anche di cinque/sei soldi. Per questo, sfruttando un momento favorevole, «con la panissa o minestra due volte al giorno, sospesero il lavoro con la speranza di ottenere qualcosa di più. Ma la difficoltà di far sciopero in questi momenti, già segnalato dall’On. Cugnolio alla Camera dei Deputati, apparve quasi subito. L’organizzazione delle donne è debole e gli uomini che avrebbero potuto incoraggiare il movimento sono al fronte». La cosa era resa ancora più difficile dal sussidio dei 60 centesimi concesso dal governo, che permetteva a molte donne di accontentarsi di una paga più bassa di quella a loro dovuta. Non solo: «La disoccupazione incalza e piuttosto che niente ci si accontenta di poco e si confida che abbia a cessare la guerra. Le donne vercellesi che sospesero il lavoro per due giorni della settimana scorsa vi tornarono lunedì. Martedì giunse notizia che erano ferme le donne di Ronsecco e che avevano sospeso il lavoro anche gli uomini senza che si conoscessero ancora le loro precise intenzioni».


La mancanza di coordinazione e le difficoltà di farsi sentire per i propri diritti, quindi, stavano avvantaggiando i padroni, che non solo possono pagarle meno, ma «a danno delle lavoratrici - tentano – un’altra speculazione. Trenta o trentadue soldi dev'essere il prezzo del lavoro ordinario della primavera per le donne (…). Ma la mancanza della mano d’opera maschile persuade gli agricoltori a far loro eseguire anche i lavori che prima erano devoluti agli uomini». Questi lavori, però vengono pagati meno rispetto a quello che ricevevano gli uomini. «Se le donne si  adatteranno a fare quel lavoro per quel prezzo danneggeranno i loro uomini che quando torneranno a casa troveranno che le donne hanno preso il loro posto e che i padroni non vorranno più pagare che circa trenta soldi al giorno pei lavoratori della primavera». Una evenienza da evitare a tutti i costi. 

martedì 14 giugno 2016

Buone nuove dal soldato Felice Zampini

Durante il settembre del 1915 la città di Vercelli e il giornale La Sesia si erano interessati alla storia di un soldato romano, giunto nel vercellese per essere ricoverato all'ospedale militare per le ferite riportate in battaglia.


Il suo nome era Felice Zampini, giovane militare reduce già dalla guerra in Libia e che aveva subito l’amputazione di entrambe le mani a seguito dello scoppio di una bomba austriaca al fronte. La situazione dello Zampini porta a lui molte simpatie dalla cittadinanza, che grazie al giornale La Sesia decide di aprire una sottoscrizione a suo favore e nel giro di qualche giorno vengono raccolte 1.500 lire, che permettono ai medici di acquistare e installare due protesi che possano aiutare il soldato nella vita civile. A mesi di distanza il giornale torna a dare notizie sulla sorte di Felice Zampini e sulla sua sorte. «Abbiamo, un giorno, pubblicato un ritratto dello Zampini coi due moncherini – spiega il giornale ai suoi lettori -; ne pubblichiamo oggi un altro, dove il bravo soldato è fotografato con le mani artificiali che gli tengono il posto di quelle sfracellate dalla  bomba nemica ed amputate» (La Sesia, 31 marzo '16).  La foto ritrae il soldato Zampini con in mano una bottiglia di vino e nell'altra il bicchiere. Questa è una cosa che sorprende il giornale visto che «tutti sanno come la mano negli antichi apparecchi non serva che per figura – anzi per alcuni l’apparecchio – è più un ingombro che un’utilità. Si capisce poi in quali pietose condizioni si trovi un individuo, al quale manchino tutte e due le mani, che deve avere un aiuto per i bisogni più comuni e più intimi».


Ma per il soldato Zampini il prof. Isnardi, direttore dell’ospedale militare, grazie ai soldi giunti dalla sottoscrizione e dal finanziamento giunto dalla Cassa di risparmio «dopo varie prove poté far preparare dall'operaio vercellese Ramagni due arti coi quali il mutilato di ambe le mani può prendere una bottiglia con una mano artificiale, togliere il tappo, nascere il contenuto nel bicchiere, deporre la bottiglia, e coll'altra mano afferrare il bicchiere, portarlo alla bocca, bere e deporlo al suo posto. Così può usare cucchiaio e forchetta, abbottonarsi e sbottonasi la giacca, il gilè ed i pantaloni senza l’aiuto di alcuno. Nello stesso modo e con disinvoltura e precisione di movimenti, è capace di stringere la mano, di ritirare un libro dal tavolo, reggere una sedia (…) E la forza, essendo data dai potenti muscoli del braccio, si può durare molto a lavorare senza risentire stanchezza». Grato, quindi, per ciò che è stato fatto per lui il soldato aveva inviato una fotografia al giornale e alla città che tanto avevano fatto per lui e per la sua salute. E il giornale la pubblica, allegando i complimenti al professor Isnardi e soprattutto all’ortopedico Ramagni, costruttore di un apparecchio “semplicissimo” e, soprattutto, servibile.